martedì 12 marzo 2013

Manifesto di politica macroeconomica

Due precisazioni: i punti che seguono si trovano formulati, in forma maggiormente discorsiva, qui. E quando parlo di strumenti monetari complementari da introdurre nelle sigole nazioni dell'area euro, chiaramente faccio riferimento ai Certificati di Credito Fiscale.

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UNO: la piena occupazione e la stabilità dei prezzi sono gli obiettivi della politica macroeconomica.

 

DUE: in una nazione che controlla l’emissione della propria moneta, i due obiettivi sono quasi sempre compatibili.

 

TRE: nell’ultimo secolo l’unica eccezione rilevante rispetto al punto DUE è stato lo shock petrolifero degli anni Settanta.

 

QUATTRO: normali oscillazioni del ciclo economico possono essere gestite dalla banca centrale, abbassando i tassi e facilitando il credito quando la domanda rallenta o, al contrario, aumentando i tassi e rendendo più stringenti le condizioni di concessione del credito quando i prezzi salgono troppo velocemente.

 

CINQUE:  sono invece anormali le situazioni di trappola della liquidità (TL) che si producono quando la domanda cala a livelli molto depressi e la riduzione a zero dei tassi d’interesse non basta a riportarla al livello necessario per la piena occupazione.

 

SEI: la TL si è prodotta varie volte a seguito dell’esplosione di bolle speculative: crescita dei valori di azioni, immobili o altri beni a livelli irrazionali; massicci fenomeni di acquisti a credito; repentina caduta che ha lasciato investitori e pubblico gravati di debiti a rischio di insolvenza, e gli intermediari finanziari carichi di crediti di dubbia esigibilità.

 

SETTE: in situazione di TL, è necessaria un’azione diretta di sostegno della domanda: spesa pubblica, riduzione delle imposte, erogazione diretta di contributi ai cittadini o una combinazione di questi interventi.

 

OTTO: l’azione diretta di sostegno alla domanda deve essere finanziata con moneta di nuova emissione. Non ci sono aumenti significativi di inflazione né di tassi d’interesse, fino a quando l’occupazione non ritorna a livelli normali. Il cambio estero della moneta tende invece a deprezzarsi, il che peraltro aiuta la domanda grazie al miglioramento del saldo commerciale.

 

NOVE: il “quantitative easing” (la banca centrale compra titoli di Stato o altre attività finanziarie) dà invece benefici limitati. Si immette liquidità nel sistema bancario che però alimenta credito e domanda solo in misura modesta. Dopo la scoppio di una bolla speculativa, le banche sono cariche di crediti problematici e poco propense a erogare nuovi finanziamenti.

 

DIECI: il governo e la banca centrale devono quindi agire in modo coordinato: la banca centrale deve in effetti essere un’agenzia governativa.

 

UNDICI: ogni nazione, o più esattamente ogni ente pubblico territoriale che gestisce tutte (o la parte preponderante delle) politiche fiscali (tassazione e spesa) in vigore sul territorio, deve quindi essere in grado di emettere uno strumento di natura monetaria.

 

DODICI: per “strumento di natura monetaria”, più brevemente “moneta”, si intende un’attività finanziaria emessa da un’entità pubblica, che quest’ultima NON si impegna a rimborsare BENSI’ ad accettare a saldo delle obbligazioni verso di sé (ad esempio, le tasse).

 

TREDICI: i cambi flessibili tra le monete nazionali ammortizzano gli squilibri di competitività e prevengono la formazione di sbilanci nei saldi commerciali. Se più nazioni usano la stessa moneta, come oggi l’eurozona, è indispensabile introdurre strumenti monetari complementari nazione per nazione, finanziare politiche di detassazione dei costi produttivi e riprodurre lo stesso livello di flessibilità assicurato dalle valute nazionali a cambio fluttuante.

 

QUATTORDICI: il debito pubblico denominato nella moneta dello stato emittente non ha per definizione rischio di default, salvo che si decida volontariamente di non rimborsarlo. Casomai ci può essere un rischio di svalutazione della moneta di denominazione, se lo stato la emette in quantità che spingono la domanda al di sopra della capacità produttiva del sistema economico, e quindi producono una salita generale dei prezzi interni.

 

QUINDICI: se un sistema economico è in condizioni normali (non è in TL) l’incremento del sostegno a determinate forme di domanda (più spesa pubblica o meno tasse) causa un decremento di altre (spiazzamento). Se finanziato a debito, aumenta i tassi d’interesse. Se finanziato con emissione di moneta, aumenta i prezzi interni. Viceversa per il decremento del sostegno alla domanda. Quindi se l’economia non è in TL, sostenere determinate forme di domanda è utile per riallocare risorse, non per aumentare l’occupazione.

 

SEDICI: come detto al punto TRE, nell’ultimo secolo lo shock petrolifero degli anni Settanta è stato l’unico caso rilevante in cui piena occupazione e stabilità monetaria sono risultati temporaneamente incompatibili. Questo perché la crescita dei costi di produzione ha abbassato di colpo il PIL potenziale. Se non si fosse accettato un certo livello di inflazione, i redditi sarebbero calati non solo in termini reali ma anche nominali, creando massicce insolvenze di aziende e privati, TL e depressione dell’economia.

 

DICIASSETTE: nella rara e temporanea situazione di incompatibilità di cui a TRE e SEDICI, l’obiettivo della piena occupazione deve prevalere su quello della stabilità monetaria.

10 commenti:

  1. Risposte
    1. Troppo buono... basta un po' di logica e onestà intellettuale.

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    2. ah perchè è onesta' intellettuale dare una banca centrale in mano ai politici che negli anni settanta hanno ben fatto vedere come gestivano la cosa? è onesta' intellettuale quindi affidare il bilancio pubblico al politico italiano che ha ben dimostrato quando tutti gli altri Stati facevano delle sagge politiche fiscali di creare i presupposti per il terzo debito al mondo salvo poi dare la colpa al brutto euro cattivo (poi se così fosse perchè vi sono imprese (anche quella dove sono) che fanno record su record anche con l'euro cattivo ed hanno bilanci da far impallidire i big mondiali, come equilibrio tra i ratio ovviamente)? E' onesta' intellettuale avere uno stato che intermedia il 50% dell'economia con risultati deplorevoli e richiedere ulteriore intervento pubblico? mah...degustibus non disputantum est...

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    3. Negli anni Settanta il debito / PIL era stabile, quando abbiamo "tolto di mano la banca centrale agli irresponsabili politici italiani", e abbiamo ulteriormente innalzato i tassi reali per entrare nello SME, è raddoppiato. E se vuoi ridurre l'incidenza dello Stato sul PIL c'è una sola via sensata: aumentare il PIL mettendo fine all'euroausterità che lo comprime.

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    4. Non proprio, il debito pil non era per niente stabile. A) eravamo l’unico paese che conta con entrate sbilanciate con le spese di 10 punti percentuali (fonte ricerca Universita’ Cattolica di Milano) b) il debito pubblico pil nel 1981 anno del bruttissimo divorzio era al 60% mentre gli altri al 20 (GEr, Usa, Fra, Spa (30%), c) poi uno si domanda come mai gli interessi esplosero negli anni 80…tutta colpa del divorzio…direi anche di no, se avra’ inciso avra’ inciso abbastanza marginalmente, semmai se hai un debito la cui base è grande rispetto agli altri è ovvio che gli interessi saranno maggiori, poi la legge del tasso di interesse composto fa l’altra parte del lavoro.
      Se Lei poi prende i dati di Pace sul debito pubblico (quindi non uno qualsiasi) e l’indice medio dei prezzi annui Istat e depura il debito dai prezzi per ottenere il debito reale e poi ci calcola le percentuali (operazione da ragioneria) ottiene un DELTA DEBITO PUBBLICO REALE che è grandioso negli anni 70 per poi crollare con Sme ed Euro.
      Pero’ voi mica dite queste cose (Lei, Gz, Borghi, Bagnai), raccontante la favola del Divorzio senza poi stimare alcunchè di impatto…(voglio numeri non chiacchere).
      Per altro poi le posso mandare tutto via mail, poi pero’ pubblica tutto e fa mea culpa e dice che Bagnai e Borghi sbagliano :)
      Non parliamo poi dei tassi reali che lei porta nel suo intervento perché anche qui statistiche alla mano che le giro, proprio in quel periodo TUTTE le nazioni ebbero tassi reali che da negativi passarono a positivi (se non altro per effetto del picco inflazionistico e contestuale poi afflosciamento dei prezzi)…
      Anche qui mando tutto ma lei si impegna, giura con i dati alla mano di non dire piu’ le affermazioni che questi dati smentiscono chiaramente.

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    5. vabbe' lasci stare il giurare...mi faccio sempre prendere dalle cose ... :)...saluti

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    6. Io ho detto che negli anni Settanta era stabile (al 60%) e così era. Per di più (anzi soprattutto) era in lire (ed era in mano a risparmiatori italiani, non a speculatori internazionali, il che non stupisce, per i motivi di cui al post del 18.7.2018). Lo SME, quindi il tentativo (destinato comunque a fallire) di tenere il cambio fisso con il marco ha sicuramente innalzato i tassi reali più che negli altri paesi occidentali, anche se la stretta monetaria (iniziata a fine anni Settanta in USA e UK) certamente ha avuto un impatto dappertutto (ma inferiore che in Italia). Il livello del debito non c'entra, se no il Giappone oggi avrebbe tassi al 1000% invece che a zero. Il problema è il DEBITO ESPRESSO IN MONETA CHE NON SI EMETTE (vedi tra i tanti il post del 18.4.2016). Se mi manda dati comunque con piacere ci ragioniamo.

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  2. Bravissimo Marco Cattaneo!Stai riuscendo ad insegnare un po' di economia anche ad un asino come me.Grazie.

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  3. La politica del punto 4 non mi ha mai convinto: oltre ad incoraggiare l'indebitamento privato ho anche dubbi sull'efficacia, perché se da una parte faciliti il credito, dall'altra stai tagliando la spesa sugli interessi del debito pubblico, che pur essendo una spesa non particolarmente efficiente è comunque reddito di qualcuno.

    Anche sul fatto che un aumento dei tassi tenda a far diminuire l'inflazione ho molti dubbi, perché oltre a quanto detto sopra, bisogna considerare che aumento dei tassi significa aumento dei costi dell'indebitamento da parte delle aziende, che a sua volta vuol dire aumento dei costi di produzione e quindi anche dei prezzi.

    Non sarebbe meglio tenere i tassi reali a zero e regolare la domanda con le politiche fiscali?

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    1. Ma la politica del punto 4 incoraggia l'indebitamento privato in momenti in cui tende a flettere. E lo stimolo agli investimenti è sicuramente più efficace della flessione di domanda causata dai minori interessi pagati ai rentiers (che tendono ad avere una propensione marginale al consumo inferiore alla media).

      Sul fatto che quando si aumentano i tassi il maggior costo dell'indebitamento si scarichi sui prezzi e quindi sull'inflazione: in qualche misura sì, ma predomina l'effetto della contrazione della domanda indotto dalla rarefazione del credito.

      Quanto a tenere i tassi a zero e regolare la domanda con politiche fiscali, è sicuramente una via plausibile, ma gli interventi fiscali hanno tempi di attuazione più lunghi di quelli monetari (e, a maggior ragione, del puro e semplice ciclo del credito - la tendenza dei tassi a salire in condizioni di domanda troppo robusta, e viceversa nel caso opposto) anche senza interventi della Banca Centrali.

      Altrimenti detto, per fare fine tuning la politica monetaria funziona meglio della politica fiscale (che rischia anzi di essere prociclica perché il lag tra decisione di intervenire e conseguimento del recupero di domanda può avvenire quando il ciclo si è già corretto da solo).

      Ma si parla di fine tuning, appunto. Essere in trappola della liquidità (che è la situazione in cui ci troviamo da MOLTI anni) è completamente diverso: l'unica leva realmente efficace è quella fiscale. E se non la si aziona adeguatamente la crisi non si risolve, come stiamo ahimè continuando a constatare...

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