mercoledì 4 settembre 2013

“Dividendo dell’euro”: qualche numero


La diatriba su se e quanti soldi l’Italia abbia risparmiato grazie al calo dei tassi d’interesse, avvenuto in concomitanza con l’adozione dell’euro, ha dato luogo a colluttazioni (solo verbali s’intende…) vivaci e anche divertenti da seguire, in particolare tra “euroexiters” (quali Claudio Borghi) e “amerikani” (molto attivo al riguardo Alberto Bisin).
 
Naturalmente ogni valutazione sul tema ha i suoi margini di opinabilità, come sempre quando si parla di “cosa sarebbe successo se”.
 
Per formarmi un’opinione, ho ricostruito alcune serie di dati, relative a quattro paesi: due che sono entrati nell’euro (Italia e Germania) e due che non ci sono entrati (Regno Unito e Svezia).
 
Regno Unito e Svezia sono significativi anche perchè nel 1992, come l’Italia, hanno attraversato pesanti tensioni finanziarie che li hanno condotti ad abbandonare il cambio fisso con il marco tedesco (sì, anche la Svezia).
 
Ho suddiviso i dati in tre periodi:
 
Da inizio 1993 a metà 1997: postumi della rottura dei cambi fissi; si discute sull’euro; non è sicuro chi ci entrerà.
 
A metà 1997 si definisce in maniera abbastanza certa che anche l’Italia sarà nell’euro. La data è in qualche misura arbitraria perché i dubbi si sono chiariti gradualmente, con vari alti e bassi. Comunque poco cambia, nei dati, se prendiamo fine 1996, fine 1997 o addirittura (per essere superformalisti) l’avvio ufficiale (fine 1998).
 
Da metà 1997 a fine 2008, relativa stabilità.
 
Poi gli anni della crisi finanziaria e della crisi dell’euro, da fine 2008 in poi.
 
Vediamo in primo luogo i tassi d’interesse a lungo termine.




Rendimento titoli di stato a 10 anni

Ita

Ger

Sve

UK

Media 1.1.93 - 30.6.97

10,6%

6,5%

8,9%

7,7%

Media 1.7.97 - 31.12.08

4,9%

4,7%

4,6%

4,9%

Media 1.1.09 - 31.12.12

5,0%

2,9%

2,5%

3,1%

Fonte: www.tradingeconomics.com

 
Facendo riferimento alle medie di periodo, i tassi italiani sono scesi di quasi sei punti. Però calavano in effetti dappertutto: quasi due punti in Germania, oltre quattro in Svezia e quasi tre nel Regno Unito.
 
C’è stata una notevole convergenza, ma è dovuta all’euro ? in realtà l’Italia partiva da livelli più alti ed è scesa maggiormente, ma si sono allineate alla Germania anche Svezia e UK, senza bisogno di entrare nell’euro.
 
Con lo scoppio della crisi, poi, Svezia e UK (senza essere nell’euro) hanno beneficiato di riduzioni simili a quelle della Germania. L’Italia, nell’euro, no.
 
Vediamo adesso l’inflazione.




Inflazione media - prezzi al consumo

Ita

Ger

Sve

UK

Media 1.1.93 - 30.6.97

4,2%

2,3%

2,2%

2,3%

Media 1.7.97 - 31.12.08

2,3%

1,6%

1,4%

1,7%

Media 1.1.09 - 31.12.12

2,0%

1,5%

1,1%

3,2%

Fonte: www.inflation.eu

 

 
L’Italia partiva due punti sopra gli altri e ha quasi, ma non del tutto, colmato la differenza. Dopo lo scoppio della crisi si sono avuti ulteriori cali in Italia, Svezia e Germania, e un incremento abbastanza sostenuto, invece, nel Regno Unito.
 
Il dato più significativo, a mio avviso, è quello del tasso d’interesse reale, cioè l’eccesso dei tassi rispetto all’inflazione. L’onere effettivo è quello, perché l’inflazione riduce il valore reale del debito.
 


Rendimento reale titoli di stato a 10 anni

Ita

Ger

Sve

UK

Media 1.1.93 - 30.6.97

6,1%

4,0%

6,5%

5,3%

Media 1.7.97 - 31.12.08

2,6%

3,1%

3,1%

3,1%

Media 1.1.09 - 31.12.12

2,9%

1,4%

1,4%

-0,1%

 
I tassi reali curiosamente si sono allineati al decimale in Germania, Svezia e Regno Unito. L’Italia fino allo scoppio della crisi ha invece avuto mezzo punto di tasso reale in meno rispetto agli altri.
 
Dopo la crisi le due economie extra euro e l’economia “eurista forte” (la Germania) hanno beneficiato di ulteriori riduzioni dell’onere reale sul debito. Gli inglesi, accettando un po’ d’inflazione in più, sono andati addirittura sotto zero.
 
Noi siamo invece saliti. Non drammaticamente in media, nonostante tutti gli psicodrammi e le altalene dello spread. Però abbiamo subito un maggior onere effettivo proprio quando la crisi avrebbe reso particolarmente preziosa una riduzione.
 
Allora, che dato prendiamo per stimare il “dividendo dell’euro” nel periodo prima della crisi ? tre punti e mezzo di calo nei tassi reali ? ma la Svezia è scesa di 3,4 e il Regno Unito di 2,2. Prendiamo la media dei due “non euristi” (2,8) e diciamo che noi abbiamo avuto un maggior calo di sette decimi di punto ?
 
Oppure constatiamo che i tassi reali si erano allineati dappertutto al 3,1% e noi eravamo mezzo punto sotto ?
 
Stiamo con i sette decimi. Il debito pubblico medio italiano negli 11,5 anni tra il 30.6.1997 e il 31.12.2008 è stato di circa 1.500 miliardi di euro.
 
Il “dividendo dell’euro” lo possiamo allora stimare in
 
1.500 x 0,7% x 11,5 = 120 miliardi, all’incirca, per il periodo 1.7.1997 – 31.12.2008.
 
Con lo stesso criterio, però, dal 2009 abbiamo avuto 2,9% di tasso reale contro 0,65% medio Svezia – Regno Unito, cioè il 2,25% in più.
 
Il debito pubbico medio degli anni dal 2009 in poi è stato circa di 1.900 miliardi, per cui all’euro (dall’inizio della crisi) è attribuibile un aggravio di interessi passivi stimabile in:
 
1.900 x 2,25% x 4 = 170 miliardi (e mi fermo al 2012, ma naturalmente, e purtroppo, l’aggravio sta proseguendo).
 
Per cui, non mi pare che si possa dar credito alle stime (550, 700, 1.000 miliardi) di risparmio d’interessi, per gli anni pre-crisi, che sono circolate.
 
L’ordine di grandezza plausibile del “dividendo dell’euro” (per gli anni in cui si può affermare che c’è stato) assomiglia più al centinaio, e ce lo siamo peraltro mangiato abbondantemente negli anni successivi.

14 commenti:

  1. Roberto Mora: bello, anche se il voler estrarre necessariamente un dato numerico sul "dividendo dell'Euro" mi sembra quantomeno forzato. Calcolare la differenza in base ai tassi di interesse di economie sostanzialmente diverse non identifica nulla. L'unico dato incontrovertibile è che i tassi di interesse sono calati OVUNQUE, e non solo nell'area Euro. E questo calo è verosimilmente imputabile alla libera circolazione dei capitali.

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    1. David Penco: Ma infatti Roberto, l'utilità di questi argomenti non risiede nell'analisi in sè, ma nel togliere al piddino di turno motivi di propaganda terroristica ( un po' come il post di Bagnai sulla benzina, per intenderci ).

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    2. Esatto: una risposta "precisa e scientifica" non esiste, ma è importante far capire che gli ordini di grandezza non sono quelli di certe sparate gianniniane...

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    3. Roberto Mora: A me piaceva di più l'analisi che partiva dal "loro" dividendo di 700 miliardi. Si dimostrava che aver "risparmiato" tutti quei soldi presupponeva il fatto che adesso senza euro avremmo avuto tassi intorno al 12%, in linea con i paesi in via di sviluppo. E quindi chiaramente un boiata pazzesca.

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    4. Questo però non mi torna del tutto. Se prendiamo come ho fatto io gli 11 anni e mezzo (da metà 1997 a fine 2008) in cui ci sarebbe stato il vantaggio, 700 miliardi sono circa 60 all'anno, quindi 4% in più su un debito medio di 1.500. Rispetto al 5% circa effettivo vorrebbe dire aver avuto il 9%, non il 12%. Anzi anche meno, circa 8%, se teniamo conto della capitalizzazione degli interessi.

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  2. Ma poi questo dividendo (se c'è) ha come contraltare un minore introito dei possessori di titoli, quindi il guadagno per il paese si avrebbe solo se si è ridotta la parte di spesa per interessi che va all'estero, ma temo che sia aumentata con l'euro...

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    1. Giusta osservazione. Com'è anche vero che fino al 2007 l'Italia ha probabilmente pagato tassi reali un po' inferiori a quanto sarebbe accaduto con la lira, ma le sue aziende hanno gradualmente perso competitività per il mancato riallineamento del cambio e gli effetti sull'economia reale già erano sensibili (anche se dopo è accaduto ben di peggio...)
      In breve: il dividendo dell'euro NON E' MAI ESISTITO.

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  3. Intervengo di nuovo per segnalare il punto di vista di A.Guerani che imputa la responsabilità dell'impennata (prima) e della riduzione (poi) dei tassi alle politiche della FED, si veda ad esempio questo tweet.

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    1. Concordo. All'inizio degli Ottanta i tassi d'interesse reali sono cresciuti dappertutto a seguito delle politiche monetaria restrittive messe in atto negli USA (e prima ancora nel Regno Unito) per spezzare le aspettative di inflazione.

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    2. Ma perchè gli alti tassi USA costringono ad alzare i tassi in Italia? Perchè gli italiani comprerebbero titoli USA più convenienti? Se proprio non si riescono a collocare i titoli c'è sempre la possibilità (almeno in teoria) dell'acquisto da parte della banca centrale, quindi non mi pare che ci fosse una costrizione di fatto ad aumentare i tassi in accordo con i tassi USA. Sbaglio?

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    3. (Fermo restando che lo SME obbligava a mantenere dei tassi sufficientemente alti rispetto alla Germania, che però non aveva comunque alcun accordo di cambio con gli USA).

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    4. Sì, tuttavia a inizio anni Ottanta il problema di “spezzare” le aspettative inflazionistiche esisteva in tutti i paesi occidentali, anzi in Italia più che nel mondo anglosassone (per non parlare della Germania).
      Erano indispensabili, per ottenere questo risultato, una restrizione del credito, e la conseguente forte recessione del 1981-1982 ? non ho certezze in merito, ma non sono in grado di formulare una linea di condotta che avrebbe avuto forti probabilità di produrre risultati migliori.
      Sono invece senz’altro più convinto che sia stato un errore entrare nello SME nel 1979 e ancora di più aderire alla “banda stretta” di oscillazione a inizio 1990.

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    5. Senza contare la differenza del significato del debito (e quindi anche degli interessi) tra chi lo ha espresso nella moneta che emette e chi invece (eurozona) lo ha in una moneta che non emette! Il concetto di sovranità monetaria è fondamentale!

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    6. Assolutamente si' !! Ed è uno dei temi chiave di questo blog, come avrà notato...

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