giovedì 12 dicembre 2013

CCF e Mosler Bonds


Ieri, a “La Gabbia”, Paolo Barnard ha parlato dei Mosler Bonds e in molti si sono chiesti (e mi hanno chiesto) se siano una proposta identica ai Certificati di Credito Fiscale (CCF).

Identica no, ma c’è una strettissima parentela. Di CCF peraltro avevo discusso già mesi fa con Warren Mosler stesso (vedi qui) che ha scritto anche la prefazione del libro mio e di Giovanni Zibordi, in uscita (finalmente…!) dopo Natale.

I Mosler Bonds, o Tax-Backed Bonds, sono stati proposti originariamente in questo articolo di Warren Mosler e Philip Pilkington.

I Mosler Bonds (cito) sono “obbligazioni simili a normali titoli di stato, salvo che includerebbero una clausola tale per cui se lo stato emittente omette di effettuare pagamenti, e solo in questo caso, sarebbero utilizzabili per saldare imposte dovute allo stato emittente”.

Emettendo Mosler Bonds, lo stato emittente si finanzia, di conseguenza con titoli che NON possono andare in default: se non vengono rimborsati in euro, automaticamente diventano moneta corrente, utilizzabile per pagamenti allo stato emittente stesso.

I CCF sono, dicevo, strettamente imparentati ai Mosler Bonds (che anzi me li hanno ispirati, insieme ai MEFO bills di Hjalmar Schacht).

I CCF sono anch’essi titoli utilizzabili per pagare tasse e qualsiasi altra obbligazione finanziaria nei confronti dello stato emittente; nella mia proposta, a partire da due anni dopo la loro emissione.

Il mio progetto CCF non prevede di emetterli al posto dei normali titoli di stato, bensì di assegnarli gratuitamente a cittadini e aziende. I riceventi si troverebbero in mano uno strumento finanziario che ha valore fin da oggi: è vero che sarà utilizzabile nei confronti dello stato in un futuro prossimo, ma sarebbero subito monetizzabili (con uno sconto finanziario non molto diverso da quello dei normali titoli di stato) vendendoli a soggetti che hanno la necessità di pagare tasse, imposte ecc. in futuro.

In questo modo si verifica subito un forte incremento della capacità di spesa e della domanda.

Inoltre una parte delle assegnazioni è diretta alle aziende, in proporzione ai costi di lavoro da esse sostenuti. In questo modo, il loro costo del lavoro per unità di prodotto scende e si porta all’incirca al livello della Germania. Questo evita che la maggior domanda prodotta dalle assegnazioni di CCF si rivolga in misura eccessiva a prodotti importati, e impedisce il ricrearsi degli squilibri commerciali che sono all’origine dell’eurocrisi.

L’Italia, attuando il progetto CCF, avvierà subito una rapida ripresa di domanda, PIL e occupazione. Il riallineamento di competitività migliorerà l’export e produrrà la sostituzione di una quota di import con produzioni interne. Questo compenserà il maggior import dovuto alla maggior domanda interna: i saldi commerciali italiani rimarranno in equilibrio (come sono oggi), ma con livelli di PIL, import, export e occupazione molto più alti.

I CCF e i Mosler Bonds possono peraltro essere usati congiuntamente. E’ opportuno che, dal momento dell’avvio del progetto, lo stato italiano non emetta più titoli tradizionali, ma rifinanzi BOT e BTP in scadenza con Mosler Bonds, che sono titoli che NON comportano (per loro natura) rischio di default e non possono quindi essere considerati debito (come non sono debito i CCF).

In questo modo si riduce rapidamente la quota di debito pubblico italiano soggetto a rischio di default, cioè del debito che è effettivamente tale. Questa è, tra parentesi, l’unica via tramite la quale è possibile raggiungere gli obiettivi del “fiscal compact”.

Ricordo che il “fiscal compact” ha come obiettivo di ridurre il rapporto tra debito pubblico e PIL dei vari paesi per evitare che si verifichino altri “casi Grecia”: ovvero default del debito pubblico di singoli stati che costringano gli altri a intervenire per evitare dissesti finanziari, fallimenti di banche eccetera.

Il problema è che il “fiscal compact”, nella situazione attuale, impone ai vari stati politiche restrittive che aggravano la depressione della domanda e del PIL e che – come ampiamente dimostrato dalle vicende degli ultimi due anni – rendono impossibile raggiungere gli obiettivi di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL (anzi lo peggiorano fortemente).

Una volta che, mediante l’assegnazione di CCF, l’Italia avrà rilanciato domanda, PIL e occupazione e riallineato la competitività delle proprie aziende con quella tedesca; e, mediante l’emissione di Mosler Bonds, avrà rapidamente ridotto i rischi di default sul debito pubblico residuo – a quel punto saranno stati conseguiti tutti gli obiettivi sostanziali che, diversamente, richiederebbero il break-up dell’euro e la reintroduzione della lira.

Tutto ciò, senza attuare una deflagrazione dell’eurozona ed evitando tutte le possibili conseguenze che preoccupano vari soggetti: niente rivalutazione della moneta usata nel Nord dell’eurozona; niente svalutazione dei crediti nei confronti di residenti italiani; niente turbolenze sui mercati finanziari; nessuna conversione forzata dei risparmi delle famiglie italiane.

Il progetto qui descritto è, a tutti gli effetti pratici, una “euroexit” in quanto svincola l’Italia (e gli altri paesi che lo attueranno con modalità analoghe) dalle restrizioni e dalle pesantissime negatività del sistema monetario oggi in essere.

E’ però un’uscita non deflagrante: non si spacca nulla, ma ci si “sfila” (elegantemente, se mi permettete…).

10 commenti:

  1. Ringrazio per la sempre accurata e ampia presentazione del progetto con l'attenzione ad approfondirne gli aspetti, anche quelli più critici. In uno spirito costruttivo - condividendo le finalità dell'iniziativa - mi sembra che i CCF si configurino sempre più come emissione di moneta complementare e parallela all'euro. L'aspetto più delicato, quando si parla di circolazione di moneta parallela a una sovrana e non controllata, riguarda la legge di Grisham, quella legge che porta la "moneta buona" a scacciare quella "cattiva" e a creare i problemi che rendono difficile e penalizzante la convivenza dei due sistemi (si pensi all'esperienza cubana e ai vecchi paesi dell'Est europeo dove era diffuso il cambio nero di valuta). Il problema è diverso - mi dirai - per i CCF perchè funzionamo nei limiti della capacità impositiva futura di una nazione che se si risolleva è abbastanza sostenuta da onorare la promessa monetaria. Essendo tuttavia sempre incerta la capacità impositiva futura, qualche caveat è opportuno: anche i sostenitori dello sviluppo di circuiti monetari paralleli (diffusi in Svizzera e in Germania, paesi che non sembrano aver bisogno di supporto alla loro domanda) consigliano ai governi di emettere queste monete regionali a fronte del deposito presso la banca centrale di un ammontare corrispondente di euro a garanzia. Ritengono che questo requisito sia importante affinchè ci sia la sufficiente fiducia nella nuova moneta emessa. Il problema della fiducia e della garanzia non è banale per uno Stato fortemente indebitato anche per i CCF: ci deve essere per evitare che questi strumenti vengano considerati carta straccia, con conseguenze imprevedibili. Mi dirai che la fiducia di uno Stato risiede nella sua collettività e nel rispetto del patto fiscale interno tra i contribuenti. Se questo patto fiscale interno tende però ad esplodere (per eccessiva tassazione o per aspettative di ancor più alta tassazione in futuro), il rischio è davvero che i CCF siano carta straccia. Non so indicare strade alternative di garanzia per i CCF ed eventuali altre forme di moneta complementare: certamente la soluzione prospettata dagli studiosi teutonici e svizzeri non mi sembra risolutiva (usare euro a garanzia e dove si vanno a prendere? con ulteriore indebitamento o con la cessione del patrimonio pubblico?) e comunque foriera di depressione della domanda.
    L'emissione gratuita di CCF mi sembra pericolosa in quanto, senza forme di garanzia, il volume di potenziale monetario fuori comtrollo della BCE sarebbe esplosivo. Inoltre non si accetterebbe mai di sconvolgere i principi di non interferenza nella competizione tra le imprese con CCF donati alle imprese (aiuti di Stato, ovviamente)..
    Mi rendo conto che le mie osservazioni sono forse poco sistematiche, ma a volte la verifica delle criticità può essere utile a rivedere e migliorare le soluzioni proposte. Buon proseguimento nell'ottimo e intellingente lavoro sviluppato.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Chiaramente, se i CCF dovessero avere una riserva di euro che ne garantisce la convertibilità verrebbe meno tutta l'utilità del progetto.
      Ma in tutta sincerità è un problema che non vedo: l'utilizzo per soddisfare obbligazioni d'imposta (e di qualsiasi altra natura) nei confronti della pubblica amministrazione ne garantisce il valore, esattamente come avviene per qualsiasi moneta a corso forzoso (cioè tutte, nel mondo di oggi...)
      "Il volume di potenziale monetario fuori controllo della BCE sarebbe esplosivo": ma qualsiasi stato dotato di sovranità monetaria in teoria può iperinflazionare la moneta. In pratica oggi 183 nazioni su 200 al mondo emettono la loro moneta, e l'iperinflazione dov'è ?
      Comunque un eccesso di emissione di CCF ridurrebbe il LORO valore, non quello dell'euro.
      Poi che la UE possa sollevare il problema degli aiuti di stato (ma allora non c'era lo stesso problema con le riforme Hartz in Germania ?) rientra nei possibili appigli formali. Se ne possono immaginare parecchi, tutto può essere. Ma allora sarebbe la UE ad assumere una posizione chiaramente pretestuosa, per bloccare una riforma che evita lo scenario di deflagrazione incontrollata dell'euro - il quale, diversamente, appare sempre più possibile e minaccioso...

      Elimina
  2. "qualsiasi stato dotato di sovranità monetaria in teoria può iperinflazionare la moneta": è verissimo, ma ovviamente non nell'Unione Europea e ancor di più nell'Eurozona (dove la sovranità monetaria è stata delegata da rappresentanti nazionali con piena autonomia decisionale ad un Istituto con precise finalità statutarie che si chiama BCE).
    Con un approccio che non si pone problemi di accettazione degli strumenti emessi e di compatibilità con i Trattati approvati da un paese che fa parte dell'UE e dell'EMU, tanto vale uscire dall'Euro e dall'Unione Europea con la strada più semplice e diretta.
    Il Governo eletto dal popolo può deciderlo, con tutte le conseguenze che ne derivano, positive o negative. A questo punto non è vero che la strada del CCF è meno deflagrante dell'uscita diretta: è solo l'occasione presa per accellerare il processo.
    Se mi sbaglio in questa interpretazione, occorre invece ripensare il progetto per renderlo compatibile con la sua accettazione da parte della collettività. Il problema posto della fiducia non è banale: anche i Paesi con autonomia monetaria si guardano bene dall'utlizzare senza freni l'emissione di moneta sia per evitare di compromettere gli equilibri dei conti con l'estero, sia per non rischiare l'isolamento valutario ed essere costretti a forme di restrizione della circolazione delle merci e dei capitali. Il caso argentino è emblematico di come e con quanta fatica si sia dovuto gestire la valuta domestica per garantire nel tempo un minimo di stabilità a prezzo di un forte impoverimento delle risorse interne a vantaggio delle esportazioni come unica ancora di salvezza dell'economia nazionale. Ritengo comunque interessante il suo pensiero quando si pone su binari di un percorso equilibrato.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non è solo un fatto di "accelerare il processo": la via CCF è meno deflagrante perché evita i problemi che citavo nell'articolo ("niente rivalutazione della moneta usata nel Nord dell’eurozona; niente svalutazione dei crediti nei confronti di residenti italiani; niente turbolenze sui mercati finanziari; nessuna conversione forzata dei risparmi delle famiglie italiane"),
      Quanto all'"utilizzo senza freni dell'emissione di moneta", NON si propone assolutamente questo. Le emissioni annue di CCF sono stimate in circa 200 miliardi per ricostituire il livello di domanda coerente con il pieno impiego. Oltre questo ordine di grandezza sarebbero inflazionistiche. Domanda e moneta devono essere a un livello adeguato a garantire il pieno impiego e la stabilità monetaria: esiste un livello corretto, un livello troppo alto e un livello troppo basso. Oggi, semplicemente, siamo in quest'ultima situazione. La casa è troppo fredda e si vuole alzare il riscaldamento, non dargli fuoco :) !

      Elimina
  3. Ciao Marco, avrei una domanda: In che modo i ccf alle aziende influenzerebbero al ribasso il clup? Inoltre: l'emissione di ccf, non è un drenaggio (nell'aggregato) di moneta euro? Aspetto il tuo libro!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Una parte delle assegnazioni di CCF vanno alle imprese, in proporzione ai costi di lavoro da esse sostenute. Grosso modo, per ogni 100 euro sostenuti per stipendi, tasse e contributi, l'azienda ne riceve 20 in CCF. Cala quindi il costo del lavoro effettivo totale, e anche il costo per unità di prodotto.
      No, i CCF non drenano euro perché si aggiungono (non sostituiscono) le quantità di euro in circolazione.
      Grazie e a presto !

      Elimina
  4. Mi scusi avrei una domanda
    Capisco il discorso di una iniezione di liquidità tramite i CCF che darebbe un forte stimolo all'economia però mi pare di aver capito da Paolo barnard in trasmissione che l'idea dei mosler bonds (simili ai CCF) sia stata rigettata dall'Europa. Ora mettiamo che l'Italia introduca comunque i CCF, cosa vieta alla Germania di fare lo stesso per mantenere intatto il suo vantaggio competitivo verso i paesi del Sud Europa quindi il suo surplus commerciale? Parte della crisi è dovuta al fatto che i paesi del Sud Europa hanno avuto inflazione dalla fine degli anni novanta e quindi i salari si sono alzati in linea con questa mentre la Germania molto meno e questo le ha permesso di aumentare la sua competitività. Non le pare che alla fine questo gap sia colmabile solo tramite una forte azione politica da parte dell Europa per far si che la Germania faccia del fiscal stimulus per alzare l'inflazione o con la nostra uscita dall euro?
    Cordiali saluti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il motivo per cui i CCF funzionano è che in Italia (e nel Sud Europa in genere) esiste un ampio livello di disoccupazione e di potenziale produttivo non sfruttato. Questo è il motivo per cui la spinta sulla domanda genera maggior produzione e non maggior inflazione.
      In Germania questo gap tra domanda e produzione potenziale non esiste, o comunque è enormemente inferiore.
      Se ci pensa, è una situazione analoga a quella che si verificherebbe se l'Italia tornasse semplicemente alla lira e svalutasse. La Germania non potrebbe seguirla svalutando a sua volta, perché creerebbe uno stimolo inflazionistico (non avendo un grosso cuscinetto di disoccupazione e capacità produttiva inutilizzata da riassorbire). E infatti, in tutti i riallineamenti valutari verificatisi (ultimo quello del 1992) non ha potuto fare altro che accettare la rivalutazione del marco.

      Elimina
  5. David Lynch Gabella: Pero dottor Cattaneo sarà d'accordo con me che attualmente nemmeno l'Italia non ha più un problema di debito pubblico, perché draghi con l'operazione ltro a dato una mano alle banche comprandosi titoli italiani in mano straniere.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Con gli spread a questi livelli, il problema effettivamente non è lì bensì nei vincoli che vietano di effettuare il deficit spending necessario e nella rigidità della moneta che impedisce di ripristinare la piena occupazione senza squilibrare la bilancia commerciale estera. Però la crisi dello spread del 2011, pretesto per imporre l'austerità, non sarebbe MAI avvenuta se il nostro debito fosse emesso in strumenti monetari sovrani ! quindi la soluzione richiede di intervenire anche su questo.

      Elimina