domenica 30 novembre 2014

Moneta Fiscale: evoluzione o rivoluzione ?


Giovanni Zibordi ha pubblicato oggi un commento alla proposta “Moneta Fiscale” e all’appello elaborato da Biagio Bossone, Luciano Gallino, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini e dal sottoscritto.

Riguardo alle osservazioni tecniche di Giovanni, preciso che in effetti l’allocazione dell’intervento – i 200 miliardi massimi di Certificati di Crediti Fiscale emessi annualmente – non è oggi prevista in modo diverso rispetto alla formulazione originaria, di cui al libro che Giovanni e io abbiamo pubblicato con Hoepli. Già lì si parlava di 150 miliardi per ridurre tasse (circa 70 a favore dei lavoratori e 80 per le aziende) e di 50 per interventi di spesa.

Il cambiamento è invece la distribuzione temporale: l’idea attuale è arrivare a regime in tre anni, per esempio emettendo 90 miliardi il primo anno e salendo poi a 150 il secondo e a 200 il terzo.

Questo perché l’azione espansiva sulla domanda non crea inflazione massiccia se si accompagna a un’espansione dell’offerta, quindi della produzione effettiva, con tempistiche simili. Ha più senso scaglionare l’intervento perché la rimessa in moto della capacità inutilizzata delle aziende italiane ha dei tempi, e distribuirla su tre anni appare sensato. In effetti la ripresa produttiva anche nel libro era ipotizzata con questo scaglionamento, ma allora è corretto che l’emissione di CCF segua la medesima distribuzione temporale (cosa che invece nel libro non era prevista).

Giovanni conferma poi alcuni suoi dubbi, già espressi in passato, in merito al fatto che l’azione sulla domanda possa portare a un innalzamento significativo dell’inflazione, almeno in una fase iniziale, e a squilibri nei saldi commerciali esteri. A me pare che data l’esistenza di un “output gap” massiccio l’inflazione non sia un problema: oggi siamo a zero e salire al 2% (che peraltro è desiderabile, anzi è proprio l’obiettivo che la BCE tenta – senza averne i mezzi... - di raggiungere) in tempi rapidi è difficile: ancora di più arrivare a livelli nettamente più elevati.

Quanto ai saldi commerciali esteri, nel 2014 l’Italia sta conseguendo un surplus commerciale del 3% del PIL e un attivo delle partite correnti vicino al 2%. C’è quindi un cuscinetto da riassorbire. In aggiunta a questo, l’allocazione di CCF a favore delle imprese produce un significativo riallineamento di competitività nei confronti dei partner esteri. Ottanta miliardi di abbassamento dei costi di lavoro lordi equivalgono a un 18% circa di riduzione. Se l’euro si rompesse e l’Italia svalutasse rispetto alla Germania, le stime della nuova parità di equilibrio convergono, generalmente, intorno al 20-25%. Giovanni dà percentuali più alte, ma non ho visto ricerche che giustifichino il dato da lui citato (“50%, forse 60% contro marco”). Un 18% di riduzione dei costi di lavoro lordi via cuneo fiscale può tranquillamente equivalere al 20-25% di riallineamento via svalutazione (tenuto conto che il vantaggio della svalutazione in qualche misura viene eroso dal maggior costo delle materie prime e delle importazioni non sostituibili).

Ma questi sono elementi tecnici. Se andiamo per la via CCF / Moneta Fiscale, le dimensioni e la tempistica delle varie allocazioni possono essere regolati. Possono essere aumentate più o meno rapidamente in funzione della velocità di recupero del PIL, da un lato, e dell’inflazione, dall’altro. Se il surplus commerciale scende molto in fretta e diventa un deficit si può migliorare l’allocazione a favore delle aziende, magari con un privilegio verso i settori ad alta esposizione alla concorrenza estera; in caso contrario si può favorire maggiormente la domanda interna; eccetera.

Il punto chiave della critica di Giovanni, che poi è il motivo per cui ha preferito non sottoscrivere il manifesto / appello, è un altro e si sintetizza così, nelle sue parole:

“Il principio fondatore dell’Eurozona è che i singoli stati non possano creare moneta e noi proponiamo di fare esattamente questo ! Il comunismo non funziona meglio con la proprietà privata, si sfalda. L’Eurozona… la stessa cosa”.

Ora, a me sembra che stiamo in realtà discutendo di semantica. L’Eurozona così com’è non funziona e il sistema di trattati su cui si fonda non è applicabile. Questo è un fatto. Può essere risolto senza che gli stati si riapproprino della facoltà di emettere moneta ? certamente: basta che la BCE finanzi con moneta il corretto livello di spesa a deficit degli stati. Vedi, ad esempio, il punto SETTE di questo articolo.

Se la BCE insiste a non volerlo fare, e se non ha nessun senso economico, politico e sociale mantenere metà abbondante dell’Eurozona in situazione di depressione economica permanente, il sistema DEVE cambiare. In questo senso, la nostra proposta è un’euroexit. L’ho detto e ripetuto non so più in quante occasioni.

Introdurre la Moneta Fiscale richiede una forte volontà politica, certo. Ma qual è l’alternativa ? il break-up richiede lo stesso livello di volontà politica, è molto meno efficiente e ha complicazioni tecniche, legali e politiche altissime.

Introdotta la Moneta Fiscale da parte dell’Italia, e probabilmente a quel punto da vari altri stati, che cosa possono fare a Bruxelles, a Francoforte e a Berlino ? ci sono tre possibilità.

Prendere atto che si è venuto a creare un nuovo sistema, e accettarlo così com’è.

Definire una modalità di scioglimento completo, tale per cui in alcuni anni le Monete Fiscali nazionali diventino monete circolanti principali, e in prospettiva uniche, dei vari paesi: grosso modo tutto questo potrebbe avvenire come qui illustrato.

Attivare LORO il break-up. A me pare un’azione autolesionistica, perché produce proprio tutti gli effetti (svalutazione dei crediti, rivalutazione improvvisa della moneta utilizzata dai “nord-eurozonici” eccetera) che si stanno cercando disperatamente di evitare. Comunque il break-up innescato dalla BCE tecnicamente è un po’ meno improbo dell’uscita di singoli paesi.

“Il comunismo non funziona meglio con la proprietà privata, si sfalda”, dice Giovanni. Certo, e questo politicamente può causare una rottura: ma anche non causarla. L’Unione Sovietica ha reintrodotto la proprietà privata e si è sciolta. La Repubblica Popolare Cinese è rimasta Repubblica Popolare Cinese, invece.

Nell’appello noi affermiamo che la Moneta Fiscale è “la via per rendere sostenibile il sistema monetario europeo”. Chiaramente, lo rende sostenibile trasformandolo in un’altra cosa rispetto ad oggi.

Naturalmente è legittima l’opinione che questa strada evolutiva, invece che rivoluzionaria, produrrà comunque una reazione politica deflagrante. Ma è indimostrabile. Può essere ma anche no. E comunque non vedo percorsi alternativi.

domenica 23 novembre 2014

Mi sarei un po’ stuficchiato


di tutti quelli che mi dicono “i CCF verranno osteggiati da Bruxelles, da Francoforte, da Berlino, dai mercati finanziari, quindi bisogna andare al breakup”.

I CCF verranno osteggiati ? forse. Il breakup ? sicuramente.

Serve una forte volontà politica per introdurre i CCF ? senz’altro. Per attuare il breakup dell’euro ? molto di più.

I CCF sono una via efficiente per riformare l’eurosistema ? sì. Il breakup ? molto meno.

I CCF sono tecnicamente complessi da mettere in atto ? no, sono anzi piuttosto semplici. Il breakup ? ha delle complicazioni tecniche, legali e operative enormi.

E allora ?

sabato 22 novembre 2014

Effetti economici del progetto CCF: alcune simulazioni


Il punto di partenza è un’ipotesi inerziale.
I dati di partenza (2014) sono ricavati dal Documento di Economia e Finanza del Ministero dell’Economia (ultimo aggiornamento – ottobre 2014) e da Banca d’Italia per quanto riguarda i saldi esteri (export, import, bilancia commerciale e partite correnti).
Sia l’inflazione che la crescita reale del PIL restano a zero.
Il rapporto deficit / PIL rimane costante al 3%.
In cinque-sei anni, il debito pubblico lordo arriva vicino al 150% del PIL.
Le esportazioni aumentano (in quanto c’è una crescita degli interscambi mondiali) mentre le importazioni rimangono statiche data l’assenza di crescita della domanda interna.
In quattro-cinque anni, i saldi commerciali e delle partite correnti, che sono già oggi positivi, si portano a livelli “tedeschi” (6-7% del PIL).
L’occupazione continua a scendere, per oltre 100.000 unità all’anno.
 
 
Ipotesi senza CCF
Anno
 
 
2014
2015
2016
2017
2018
2019
PIL
 
 
1.627
1.627
1.627
1.627
1.627
1.627
Incassi pubblici
 
 
786
786
786
786
786
786
Spese pubbliche
 
 
835
835
835
835
835
835
Surplus / (deficit)
-49
-49
-49
-49
-49
-49
Incassi pubblici %
 
48,3%
48,3%
48,3%
48,3%
48,3%
48,3%
Spese pubbliche %
 
51,3%
51,3%
51,3%
51,3%
51,3%
51,3%
Surplus / (deficit) %
-3,0%
-3,0%
-3,0%
-3,0%
-3,0%
-3,0%
Debito pubblico lordo
2.141
2.190
2.239
2.288
2.337
2.386
Debito pubblico lordo / PIL
131,6%
134,6%
137,6%
140,6%
143,6%
146,7%
Crescita PIL reale
 
 
 
 
 
 
 
Inflazione
 
 
 
 
 
 
 
Crescita esportazioni
 
3,0%
3,0%
3,0%
3,0%
3,0%
Importazioni / PIL
 
-25,8%
-25,8%
-25,8%
-25,8%
-25,8%
-25,8%
Esportazioni di merci e servizi
467
481
495
510
526
541
Importazioni di merci e servizi
-419
-419
-419
-419
-419
-419
Saldo commerciale
48
62
76
91
107
122
Altre voci partite correnti
-21
-21
-21
-21
-21
-21
Saldo partite correnti
27
41
55
70
86
101
Saldo commerciale / PIL
3,0%
3,8%
4,7%
5,6%
6,6%
7,5%
Saldo partite correnti / PIL
1,7%
2,5%
3,4%
4,3%
5,3%
6,2%
Numero occupati (migliaia)
23.000
22.886
22.772
22.658
22.546
22.434
PIL per occupato (euro)
70.739
71.093
71.448
71.806
72.165
72.525
Crescita produttività reale
 
0,5%
0,5%
0,5%
0,5%
0,5%
 
 
Introduzione dei CCF: le ipotesi
 
Si emettono CCF (a regime) per 200 miliardi all’anno, allo scopo di generare una crescita di domanda che (tenuto conto anche del moltiplicatore) sia in grado di incrementare il PIL in misura corrispondente all’attuale output gap.
Si ricorda che, se il PIL reale fosse aumentato dell’1% annuo rispetto al 2007 (ultimo anno prima della crisi), il livello 2014 sarebbe superiore di oltre 250 miliardi rispetto a quello realmente conseguito.
L’introduzione dei CCF avviene per 90 miliardi il primo anno, che salgono a 150 il secondo e a 200 il terzo, per poi rimanere costanti a 200.
Le pressione fiscale rimane invariata al lordo dell’utilizzo dei CCF (quella effettiva diminuisce quindi in misura pari all’utilizzo di questi ultimi).
Le spese pubbliche rimangono invariate in valore assoluto. In effetti è previsto che una parte dei 200 miliardi di CCF (a regime, 50) vada a finanziare investimenti e iniziative di interesse pubblico, ma nei dati anche questa componente è riflessa come minori incassi fiscali nell’anno di utilizzo dei CCF, non come maggior spesa nell’anno della loro erogazione.
I CCF aumentano domanda e PIL con un moltiplicatore di 1,20 nell’anno di erogazione. Il moltiplicatore è applicato all’incremento annuo (quindi 90 il primo anno, 60 il secondo e 50 il terzo), in quanto si produce maggior PIL in funzione della crescita del potere d’acquisto in circolazione. Dal quarto anno in poi, i CCF annui erogati restano fissi a 200 e non c’è più, quindi, effetto di ulteriore crescita.
Dopo che il programma CCF è andato a regime (cioè dal quarto anno) si ipotizza che il PIL reale continui a crescere dell’1% annuo.
Dall’attuale livello zero, si suppone che ci sia una considerevole salita dell’inflazione fino al 3,5% il primo anno di introduzione dei CCF (che è anche quello in cui si verifica il maggior impatto sulla crescita del PIL), con un successivo calo graduale fino al 2%.
La quota di CCF destinata alle aziende migliora le esportazioni in misura pari al 50% dell’importo, e riduce le importazioni (effetto di sostituzione) per un altro 50%. In pratica, a parità di altre condizioni si verifica un miglioramento dei saldi commerciali esteri per un importo totale pari ai CCF attribuiti alle aziende.
In aggiunta a quest’ultimo effetto, le esportazioni crescono di un ulteriore 3% all’anno (pari alla crescita nominale stimata per il PIL mondiale), mentre le importazioni (sempre escludendo l’effetto CCF) rimangono invariate, in percentuale del PIL, rispetto al 2014.
 
 
Ipotesi con CCF
Anno
 
 
2014
2015
2016
2017
2018
2019
PIL
 
 
1.627
1.796
1.924
2.033
2.095
2.158
CCF emessi
 
 
90
150
200
200
200
CCF utilizzati
 
90
150
200
Moltiplicatore
 
 
1,20
1,20
1,20
1,20
1,20
Incremento PIL dovuto a CCF
 
90
60
50
 
Maggior PIL reale
 
 
108
72
60
 
 
Incassi pubblici
 
786
868
929
982
1.012
1.043
Utilizzo CCF
 
90
150
200
Incassi pubblici netto utilizzo CCF
786
868
929
892
862
843
Spese pubbliche
835
835
835
835
835
835
Surplus / (deficit)
 
-49
33
94
57
27
8
Incassi % lordo utilizzo CCF
48,3%
48,3%
48,3%
48,3%
48,3%
48,3%
Incassi % netto utilizzo CCF
48,3%
48,3%
48,3%
43,9%
41,1%
39,0%
Spese pubbliche %
 
51,3%
46,5%
43,4%
41,1%
39,9%
38,7%
Surplus / (deficit) %
-3,0%
1,8%
4,9%
2,8%
1,3%
0,3%
Debito pubblico lordo
2.141
2.108
2.014
1.957
1.930
1.922
Debito pubblico lordo / PIL
131,6%
117,4%
104,7%
96,2%
92,1%
89,1%
CCF in essere a fine anno
 
90
240
350
400
400
CCF in essere a fine anno / PIL
 
5,0%
12,5%
17,2%
19,1%
18,5%
Crescita PIL reale
 
 
6,6%
4,0%
3,1%
1,0%
1,0%
Inflazione
 
 
3,5%
3,0%
2,5%
2,0%
2,0%
% CCF destinati ad aziende
 
40%
40%
40%
40%
40%
CCF destinati ad aziende
36
60
80
80
80
Beneficio su saldo commerciale - moltiplicatore
1,00
1,00
1,00
1,00
1,00
Beneficio su saldo commerciale
36
60
80
80
80
Di cui:
maggiori esportazioni
18
30
40
40
40
 
sostituzione di importazioni
18
30
40
40
40
Crescita export escluso effetto CCF
 
3,0%
3,0%
3,0%
3,0%
3,0%
Import / PIL escluso effetto CCF
-25,8%
-25,8%
-25,8%
-25,8%
-25,8%
-25,8%
Esportazioni di merci e servizi
467
499
526
552
568
585
Importazioni di merci e servizi
-419
-444
-483
-514
-539
-556
Saldo commerciale
 
48
55
43
38
29
30
Altre voci partite correnti
-21
-21
-21
-21
-21
-21
Saldo partite correnti
27
34
22
17
8
9
Saldo commerciale / PIL
3,0%
3,0%
2,2%
1,9%
1,4%
1,4%
Saldo partite correnti / PIL
1,7%
1,9%
1,1%
0,8%
0,4%
0,4%
Numero occupati (migliaia)
23.000
24.284
25.007
25.532
25.532
25.532
PIL per occupato (euro)
70.739
73.947
76.927
79.639
82.044
84.522
Crescita produttività reale
 
1,0%
1,0%
1,0%
1,0%
1,0%
 
 
Introduzione dei CCF: i risultati
 
Tre anni di forte ripresa del PIL (6,6% - 4% - 3,1%).
Il bilancio pubblico va in surplus.
Il debito pubblico lordo (quello VERO, da rimborsare in euro: esclusi quindi i CCF in circolazione) in percentuale del PIL cala rapidamente e dopo cinque anni è inferiore al 90% del PIL.
Il saldo commerciale e il saldo delle partite correnti si ridimensionano, restando comunque leggermente attivi.
Nel periodo, gli occupati si incrementano di 2,5 milioni di unità circa.
 
 
 
Un’analisi di sensitività
 
Qui di seguito, i risultati di uno scenario fortemente cautelativo, in cui il moltiplicatore ottenuto a fronte dell’emissione di CCF non è 1,20 ma 0,80.
 
 
Sensitività al ribasso (ipotesi fortemente cautelativa sul moltiplicatore)
Anno
 
 
2014
2015
2016
2017
2018
2019
PIL
 
 
1.627
1.758
1.861
1.948
2.007
2.068
CCF emessi
 
 
90
150
200
200
200
CCF utilizzati
 
90
150
200
Moltiplicatore
 
 
0,80
0,80
0,80
0,80
0,80
Incremento PIL dovuto a CCF
 
90
60
50
 
Maggior PIL reale
 
 
72
48
40
 
 
Incassi pubblici
 
786
850
899
941
970
999
Utilizzo CCF
 
90
150
200
Incassi pubblici netto utilizzo CCF
786
850
899
851
820
799
Spese pubbliche
835
835
835
835
835
835
Surplus / (deficit)
 
-49
15
64
16
-15
-36
Incassi % lordo utilizzo CCF
48,3%
48,3%
48,3%
48,3%
48,3%
48,3%
Incassi % netto utilizzo CCF
48,3%
48,3%
48,3%
43,7%
40,8%
38,6%
Spese pubbliche %
 
51,3%
47,5%
44,9%
42,9%
41,6%
40,4%
Surplus / (deficit) %
-3,0%
0,8%
3,4%
0,8%
-0,8%
-1,7%
Debito pubblico lordo
2.141
2.126
2.063
2.046
2.062
2.098
Debito pubblico lordo / PIL
131,6%
120,9%
110,9%
105,0%
102,7%
101,5%
CCF in essere a fine anno
 
90
240
350
400
400
CCF in essere a fine anno / PIL
 
5,1%
12,9%
18,0%
19,9%
19,3%
Crescita PIL reale
 
 
4,4%
2,7%
2,1%
1,0%
1,0%
Inflazione
 
 
3,5%
3,0%
2,5%
2,0%
2,0%
% CCF destinati ad aziende
 
40%
40%
40%
40%
40%
CCF destinati ad aziende
36
60
80
80
80
Beneficio su saldo commerciale - moltiplicatore
1,00
1,00
1,00
1,00
1,00
Beneficio su saldo commerciale
36
60
80
80
80
Di cui:
maggiori esportazioni
18
30
40
40
40
 
sostituzione di importazioni
18
30
40
40
40
Crescita export escluso effetto CCF
 
3,0%
3,0%
3,0%
3,0%
3,0%
Import / PIL escluso effetto CCF
-25,8%
-25,8%
-25,8%
-25,8%
-25,8%
-25,8%
Esportazioni di merci e servizi
467
499
526
552
568
585
Importazioni di merci e servizi
-419
-435
-467
-492
-517
-532
Saldo commerciale
 
48
64
59
60
51
53
Altre voci partite correnti
-21
-21
-21
-21
-21
-21
Saldo partite correnti
27
43
38
39
30
32
Saldo commerciale / PIL
3,0%
3,6%
3,2%
3,1%
2,6%
2,6%
Saldo partite correnti / PIL
1,7%
2,5%
2,0%
2,0%
1,5%
1,5%
Numero occupati (migliaia)
23.000
23.780
24.187
24.463
24.463
24.463
PIL per occupato (euro)
70.739
73.947
76.927
79.639
82.044
84.522
Crescita produttività reale
 
1,0%
1,0%
1,0%
1,0%
1,0%
 
 
La ripresa del PIL nei tre anni di “andata a regime” dei CCF rimane comunque significativa (4,4% - 2,7% - 2,1%).
Il bilancio pubblico torna in deficit nel momento in cui (al quinto anno) sia i CCF erogati che quelli utilizzati si attestano a 200 miliardi, ma comunque per meno del 2% del PIL.
Il debito pubblico lordo dopo cinque anni si attesta intorno al 100% del PIL.
Il saldo commerciale e il saldo delle partite correnti convergono rispettivamente all’1,5% e al 2,6% del PIL (surplus più alto rispetto al caso base, dovuto a una minore dinamica della domanda interna).
Gli occupati si incrementano in misura inferiore (sempre rispetto al caso base), ma comunque di 1,5 milioni di unità circa nel periodo.