giovedì 31 luglio 2014

Aritmetica di una manovra finanziaria (ipotetica, si spera…)


Come prevedibile e previsto dai molti commentatori che analizzano la situazione da un punto di vista keynesiano, i dati economici italiani sono peggiori delle previsioni. E da un paio di settimane si susseguono voci e illazioni sulla “necessità” o “inevitabilità” di una manovra sui conti pubblici. Per 10, 15, 25, 30 miliardi ? le voci circolano, il governo smentisce tutto, speriamo in bene.

Credo sia utile ricostruire qualche dato, soprattutto a beneficio di chi dice “eh però purtroppo bisognerà… se no dove troviamo i soldi ?”

La manovra serve a “trovare i soldi” ? un attimo…

I dati sono all’incirca i seguenti. Attualmente il PIL italiano 2014 è prevedibile in 1.600 miliardi, il deficit pubblico è stimato (da Confcommercio) nel 2,5% del PIL, quindi 40, e il debito pubblico è arrivato al 135,6% circa del PIL: 2.170 miliardi.

Se non si fa nulla, nel 2015 la variazione del PIL sarà circa zero, e quella dei prezzi pure. Il PIL 2015 risulterà quindi stabile a 1.600 miliardi circa, in termini sia reali che nominali. Con altri 40 miliardi di deficit, invariato al 2,5%, il debito salirà a 2.210: 138,1%.

La UE insiste che il deficit debba essere ridotto, per avvicinarsi al “pareggio strutturale” (che non è chiaro esattamente che cosa significhi: ma comunque ridotto). E il debito pubblico deve avviarsi verso un percorso discendente in proporzione al PIL.

Quindi i conti pubblici così non vanno bene… e “per trovare i soldi” si fanno illazioni, appunto, su una manovra restrittiva. Prendiamo l’ipotesi di 25 miliardi tra tasse e tagli di spesa.

Bene, dall’inizio della crisi si sta constatando un fatto molto semplice. In una economia depressa, con alti livelli di disoccupazione, con una domanda molto inferiore alla capacità produttiva del sistema, le manovre restrittive producono la caduta del PIL in misura più che proporzionale. E tendono anche a raffreddare la dinamica dei prezzi.

Una stima plausibile, e soprattutto in linea con quanto sta regolarmente accadendo da tre anni in qua, è che una manovra da 25 miliardi ridurrebbe il PIL reale di circa 1,5 volte l’importo della manovra stessa. Quindi 37, portandolo da 1.600 a 1.563.

Inoltre avremmo, invece di una variazione nulla dei prezzi, una diminuzione (deflazione conclamata, a questo punto) quantificabile nello 0,5%. Questo significa altri 8 miliardi circa di PIL nominale in meno – da 1.563 scendiamo a 1.555.

Se il PIL nominale è pari a 1.555 invece di 1.600, perdiamo evidentemente (prima di aver beneficiato degli effetti dalla manovra) gettito fiscale. In Italia la pressione fiscale è ormai prossima al 50% del PIL, quindi 45 miliardi di minor PIL significano 22 miliardi di minor gettito.

A questo punto ci sono tutti gli elementi per stimare dove finiscono i conti pubblici nel 2015. Il deficit da 40 miliardi passa a 37 (scendiamo della bellezza di 3, che è il saldo tra 25 di manovra e 22 di minor gettito).

Invece di avere un deficit pubblico su PIL pari a 40 / 1.600 = 2,5%, siamo a 37 / 1.555 = 2,4%... un ricco e bello decimo di punto di riduzione.

Nel frattempo abbiamo eroicamente contenuto la crescita del debito pubblico. Invece di raggiungere quota 2.210 a fine 2015, ci fermiamo a 2.207…

Solo che molto più del livello, anche del debito pubblico preoccupa il rapporto con il PIL. Senza manovra, 2.210 diviso per 1.600 faceva, come si è detto, il 138,1%.

Mentre 2.207 diviso per 1.555 ? 141,9%...

Insomma i conti pubblici stanno peggio di prima.

Tutto questo sarebbe comico se non fosse tragico. E il tragico sta nel fatto che 37 miliardi di PIL reale in meno significa qualche altro centinaio di migliaia di disoccupati, e qualche altra migliaia di imprese fallite.

Pare che questo a Bruxelles non interessi. L’importante è mostrare la capacità di autoinfliggersi sofferenze per ottenere (forse) un decimo di punto di deficit pubblico in meno. Con il debito, peraltro che continua (come dicono gli anglosassoni) a “spiralare fuori controllo”. Peggio di prima.

Chi mi legge può darmi atto che non amo le espressioni forti. Qualcuno ha detto, e lo considero un complimento, che il mio blog è “poco chiassoso”.

Però che devo dire ? se mai qualcuno, in queste condizioni, approverà, o spingerà ad approvare, una manovra restrittiva, le possibilità sono tre (che non si escludono a vicenda, non necessariamente almeno). O è un incompetente, o è un pazzo, o è un criminale.

Pazzo nel senso che dava alla parola Einstein: qualcuno che continua a ripetere lo stesso errore pensando di ottenere un diverso risultato…

giovedì 24 luglio 2014

Sull’inapplicabilità del Fiscal Compact (ancora) (e a meno che…)


A metà 2014, il rapporto tra debito pubblico lordo e PIL dell’Italia si attesta intorno al 135% e sta continuando a crescere. Il Fiscal Compact punta all’obiettivo di far scendere questo rapporto, per tutti gli stati che l’hanno sottoscritto (25 in tutto, inclusi alcuni membri dell’Unione Europea che non utilizzano l’euro) al 60% nel giro di vent’anni.

La formulazione del trattato è particolarmente complessa e contiene moltissime aree di discrezionalità e di interpretazione (demandata in ultima analisi alla Commissione Europea) per tener conto di tendenze congiunturali che possono andare a modificare il percorso “strutturale” di rientro. In altri termini, si dovrebbe procedere a ridurre il rapporto più rapidamente nelle fasi positive del ciclo economico, e viceversa.

Che cosa sia una fase positiva e una negativa del ciclo è, in una certa misura, un’opinione. Un punto su cui riflettere, tuttavia, è che l’impostazione del Fiscal Compact ignora completamente la possibilità che l’economia di un paese possa, a un certo punto, cadere in una situazione di depressione permanente.

Non, in altri termini, una fase negativa che tende a riassorbirsi in modo abbastanza spontaneo, e in un periodo di tempo relativamente breve – 12, 18, 24 mesi al massimo. Bensì una delle situazioni che si creano in conseguenza della scoppio di una bolla speculativa sui mercati finanziari: crollo di valori borsistici e/o immobiliari, crisi del credito, domanda che non riprende anche se i tassi di intervento della banca centrale sono scesi a zero.

Non avere tenuto conto di una circostanza di questo genere è grave perché si tratta di un accadimento raro, ma è proprio la situazione in cui l’Europa - e tutte le economie sviluppate - sono cadute per effetto della crisi finanziaria del 2008, così come si era verificato ottant’anni prima in conseguenza del crollo di Wall Street del 1929.

Dati tutti i caveat e le condizionalità del trattato, non è affatto chiaro a partire da che anno e in che misura l’Italia dovrebbe essere tenuta a rispettarlo. Le ipotesi che vedo citate più frequentemente parlano di avvio a partire dal 2016.

Nel 2014, l’Italia avrà (per il quarto anno consecutivo) un rapporto deficit pubblico / PIL del 3% circa, e una crescita del PIL reale intorno allo zero. La variazione dell’indice dei prezzi è attualmente positiva per pochi decimi di punto, con tendenza ad abbassarsi ulteriormente.

In buona sostanza, il PIL italiano è fermo (variazione zero, o molto prossima a zero) sia in termini reali che in termini nominali.

Nel frattempo c’è un fattore di ulteriore incertezza, ovvero se l’Italia dovrà varare ulteriori manovre restrittive per centrare l’obiettivo del “pareggio di bilancio strutturale”. Questo obiettivo non è previsto da trattati internazionali ma è stato inserito in Costituzione nel 2012. Doveva entrare in vigore nel 2015, il ministro dell’economia Padoan ha annunciato la volontà di farlo slittare al 2016, ma la Commissione Europea si è mostrata, diciamo così, poco entusiasta in merito alla possibilità di questo slittamento.

La Commissione Europea, per inciso, su argomenti di questo tipo emette raccomandazioni non vincolanti, che però il nostro governo ha l’attitudine a considerare consigli che bisogna sforzarsi di rispettare…

Anche qui, i fattori in gioco sono parecchi, a partire da che cosa sia da considerarsi “pareggio strutturale”, visto che è alquanto difficile sostenere che l’economia italiana sia oggi in una condizione economica normale. Quindi occorre tener conto del deficit “anomalo”, la cui stima ha evidentemente margini di opinabilità alquanto ampi.

Ci sono quindi voci in merito a una possibile ulteriore manovra restrittiva, la cui entità è stata variamente ipotizzata – chi dice 12, chi 20, chi 25 miliardi.

Ma diamo credito a Padoan, il quale afferma invece che non serviranno manovre.

Possiamo quindi aspettarci: una variazione zero del PIL reale e nominale italiano nel 2015 (la manovra potrebbe facilmente portare la (de)crescita reale a meno 2% ma, come si diceva, presupponiamo che non ci sarà); un deficit pubblico / PIL che rimane al 3%; e un debito pubblico lordo / PIL a fine 2015 intorno al 140%.

Bene. Nel 2016 l’Italia dovrebbe abbattere il rapporto debito / PIL di un ventesimo della differenza tra 140% e 60%, quindi del 4%, ipotizzando due cose: che il deficit annuo (prescindendo dal 4% di cui sopra, cioè ipotizzando che venga reperito tramite misure straordinarie) venga azzerato (rispetto all’attuale 3%) e che la variazione del PIL nominale sia nulla.

Si parla in definitiva di sette punti di PIL, cioè di oltre 100 miliardi di euro.

Da dove possono arrivare questi soldi ? enormi tagli di spesa, ulteriori incrementi di tassazione, imposte patrimoniali ?

Tutte queste cose equivalgono a un’ulteriore, massiccia sottrazione di potere d’acquisto: il che contrae la domanda e abbatte violentemente il PIL. Senza commentare l’effetto di tutto questo in termini di ulteriore disoccupazione e fallimenti aziendali, è chiaro che ciò impedisce il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione del rapporto debito / PIL – banalmente, a causa della caduta del denominatore.

Una parte dei 100 miliardi potrebbe per la verità provenire da cessioni di beni pubblici. Ma, a parte che le operazioni attualmente allo studio non vanno neanche lontanamente vicine a configurare importi del genere, a parte che il momento peggiore per effettuarle è quando le devi attuare massicciamente e con un vincolo temporale stringente, c’è un altro problema.

Gli interventi che citavo, per ordini di grandezza totali di 100 miliardi all’anno, non sono una tantum. Devono essere permanenti, PER VENT’ANNI. Con le dismissioni FORSE copriamo un pezzo del fabbisogno del primo anno. E poi ?

E’ uno scenario che costituisce una versione su scala ancora più estesa (spaventosamente più estesa…) di quanto sta avvenendo da tre anni in qua: il tentativo di contrare il deficit pubblico abbatte domanda e reddito, crea disoccupazione e fallimenti e innalza il rapporto debito pubblico / PIL invece di diminuirlo.

Era difficile da prevedere ? John Maynard Keynes nel 1933 non aveva avuto bisogno di terminologie complicate per spiegarlo: “Non si potrà mai equilibrare il bilancio attraverso misure che riducono il reddito nazionale. Il ministro delle finanze non farebbe altro che inseguire la sua stessa coda. La sola speranza di equilibrare il bilancio in modo stabile e permanente passa dall’evitare l’enorme aggravio dovuto alla disoccupazione. Per questo sostengo che, anche nel caso in cui si prenda il bilancio pubblico come unico metro di giudizio, il criterio principale per giudicare se le politiche economiche attuare siano state o no un successo, è lo stato dell’occupazione”.

Se tutto questo vi lascia, diciamo così, perplessi, aggiungo una cosa. Il Fiscal Compact non l’ha sottoscritto solo l’Italia. Manovre di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL sono impegnate a effettuarle altri 24 paesi. Naturalmente alcuni di loro hanno livelli di partenza già prossimi, o vicini, al 60%, e/o hanno un po’ di crescita in più dell’Italia.

Ma prendiamo altri due stati membri dell’Unione Europea di considerevole dimensione, la Francia e la Spagna. Tutte e due hanno debito / PIL oggi vicino al 95%, che raggiungerà il 100% circa a fine 2015. Quindi dovrebbero conseguire non quattro, ma due punti all’anno di riduzione del rapporto (100% - 60% = 40%, il tutto diviso per 20).

Questo, portando a zero il deficit annuo, che invece viaggia intorno al 4% per la Francia e al 5% per la Spagna.

Anche per loro la “ricetta” consiste nel reperire sei o sette punti di PIL all’anno da tasse, tagli, patrimoniali e cessioni di beni pubblici.

Rispetto alla variazione zero del PIL nominale prevedibile per l’Italia, i nostri cugini latini per la verità sono messi un po’ meno peggio. Circa 1% per la Francia, magari 2% per la Spagna (nota bene: non perché la Spagna “ha fatto le riforme”, ma perché NON ha fatto austerità tra il 2011 e il 2013 – mentre l’Italia viaggiava intorno al famoso 3% di deficit, la Spagna stava in media al 9%).

Ma una cura da cavallo come quella del Fiscal Compact non mancherebbe di azzerare (se non peggio…) questo alito di crescita.

Il Fiscal Compact comporta quindi l’attivazione SINCRONIZZATA da parte di paesi corrispondenti a più di metà della popolazione dell’Eurozona, di manovre pesantemente depressive e deflattive. A maggior ragione se attuate da più stati contemporaneamente. E questo, partendo da una situazione, già oggi, di pesante malessere economico e sociale.

Tutto assurdo e impossibile, mi pare evidente. E questo se vogliamo mi induce un “nervoso ottimismo”. Ma le prese d’atto della situazione, da parte dei vari tecnocrati europei, non le sento e non le vedo.
 
Le proposte di riforma ancora meno: solo questione di tempo ?

mercoledì 23 luglio 2014

Ma… e l’autosufficienza energetica ?


Mi capita spesso di ascoltare argomentazioni del tipo “eh ma utilizzare l’euro è utile / necessario / indispensabile perché l’Italia è un paese privo di autosufficienza energetica, e l’energia si paga in moneta forte”.

Una prima replica, che nasce spontanea, è che l’Italia non è MAI stata un paese energeticamente autosufficiente, dall’inizio della rivoluzione industriale in poi (e forse nemmeno prima…). C’erano problemi a mantenere saldi commerciali equilibrati ai tempi della lira ? eravamo dotati, allora, di enormi giacimenti di idrocarburi ? avevamo trenta centrali nucleari ? l’idroelettrico  produceva venti volte più di oggi ?

Ma vale la pena di chiarire ulteriormente l’equivoco…

Se devo importare energia, o materie prime, o qualunque cosa sia necessaria ai miei processi produttivi e al mio benessere – qualunque importazione che non mi sia possibile, o pratico, sostituire con produzione interna – mi aiuta il fatto di utilizzare una moneta forte come l’euro (o comunque più forte di quello che era, o che sarebbe, la lira) ?

Mi aiuterebbe se fossi dotato di una macchina da stampa che mi permettesse di emettere euro, con i quali pagare le importazioni. Anche se va notato che a quel punto indebolirei l’euro, trasformandolo in una sorta di lira…

Funzionerebbe senz’altro se l’Italia fosse un piccolo stato, diciamo di due milioni di persone, autorizzato a finanziare il suo import con emissioni di una moneta utilizzata da 330 milioni di persone (una situazione quindi in cui le nostre emissioni non avrebbero un impatto rilevante sul valore della moneta).

Ma naturalmente le cose non stanno così. Le importazioni le pago, certo, per lo più in moneta forte (quanto a energia e materie prime, di solito e per la verità, in dollari e non in euro, ma non è questo il punto).

La moneta forte la utilizzo, ma non la emetto. Per acquisirla mi devo quindi indebitare in quella moneta. E se rimango con un’esposizione (un debito) in una moneta di cui non controllo l’emissione, mi assumo costi e rischi. Non ho migliorato nulla riguardo ai miei problemi di autosufficienza energetica o, in genere, di dipendenza da un qualsiasi tipo di import.

Una situazione sana ed equilibrata si ottiene se NON mi devo indebitare per acquisire la moneta forte necessaria a pagare gli import. Come ? esportando prodotti trasformati e finiti in misura adeguata a pagare le importazioni.

Come e in che misura l’euro, o per essere più esatti l’attuale eurosistema, influisce su tutto questo ?

In modo pesantemente negativo. L’euro è una moneta troppo forte per l’Italia, quindi l’equilibrio dei saldi commerciali esteri è ottenibile solo mediante politiche di forte compressione salariale (quindi riducendo le retribuzioni) e contemporaneamente, e soprattutto, la domanda interna. Il che significa caduta dei redditi, caduta dei consumi, disoccupazione e aziende che chiudono.

E' quanto è avvenuto e continua ad avvenire dal 2011 a oggi.

L’import si paga con moneta forte, ma la moneta forte è pericolosissimo ottenerla a debito. Il modo sano di pagare l’import è con le esportazioni.

Allora, se la moneta che uso è troppo forte, come incremento le mie esportazioni nette senza distruggere la domanda interna e senza far esplodere la disoccupazione ?

Una via è abbandonare l’euro e svalutare (ricordando che il vantaggio della svalutazione è in parte eroso dai maggiori costi per pagare le materie prime in valuta: comunque l’effetto netto per l’Italia sarebbe positivo).

Un’altra è sforare i rapporti deficit pubblico / PIL per finanziare una considerevole riduzione della fiscalità che grava sui costi (soprattutto i costi di lavoro) delle imprese. Ma i partner dell’eurozona non lo permettono, e si tratterebbe comunque di maggior debito in moneta forte.

Un’altra strada ancora, che è la proposta della Riforma Morbida, è introdurre una moneta parallela a fianco dell’euro (i Certificati di Credito Fiscale), e utilizzarla per ridurre i costi delle aziende (oltre che per altre forme di sostegno della domanda interna).

Questo, nella misura appropriata per rimettere al lavoro la capacità produttiva oggi inutilizzata (aziende e, soprattutto, persone: quindi per eliminare la disoccupazione prodotta dalla crisi) e facendo sì che rimanga in equilibrio il saldo di:

maggiori esportazioni (in quanto ho ridotto i costi delle mie aziende)

minori importazioni di prodotti (in quanto sostituisco prodotti finiti esteri con produzione interna)

maggiori importazioni di materie prime e altri prodotti (perché risale la domanda interna).

Il PIL e l’occupazione risalgono, i conti esteri rimangono in equilibrio, non ho “spaccato” l’euro e non ho arrecato nessun danno ai miei partner commerciali. Anzi, ho risolto un gravissimo problema di disfunzionalità dell’eurozona.

Tornando alla domanda originaria, la mancanza di autosufficienza energetica NON la risolvo usando l’euro. Non pago le materie prime “perché uso gli euro”. Le pago perché sono in grado di trasformarle in prodotti esportabili, in misura e a condizioni economiche adeguate…

martedì 22 luglio 2014

Il solo modo per dare attuazione al Fiscal Compact


Non riesco a vederne un altro possibile se non…

I tedeschi e la UE possono insistere finché vogliono a negare l’evidenza. Ma aveva ragione Keynes e avevano ragione i molti che sostenevano quanto segue.

In un contesto di domanda depressa, le manovre di “consolidamento fiscale” avviano una spirale di: domanda in calo, aumento della disoccupazione, caduta delle retribuzioni, discesa dei valori immobiliari e della redditività delle aziende, insolvenze.

Oggi, ogni euro in più pagato in tasse è letteralmente BRUCIATO SU UN FALO’. Il potere d’acquisto in circolazione cala. La domanda si riduce. Aziende chiudono. I disoccupati aumentano. Il gettito fiscale scende.

Risultato: più debito, meno PIL, aumento del rapporto debito pubblico / PIL, più disoccupazione.

I trattati UE e in particolare il Fiscal Compact pretenderebbero di INASPRIRE con ulteriori manovre restrittive quanto fin qui già effettuato, naturalmente allo scopo di conseguire il sopra menzionato “consolidamento fiscale”, leggi la riduzione del rapporto debito pubblico / PIL: che fin qui (al contrario) non sta facendo altro che aumentare.

Tutto questo è INATTUABILE. Certamente, si può PROVARE ad attuarlo, nello stesso senso in cui io posso PROVARE a buttarmi dall’ottavo piano per vedere se mi riesce di volare.

Poiché quello che si vuole ottenere con il Fiscal Compact è la riduzione dei deficit e del debito pubblico rispetto al PIL, allo scopo di diminuire il rischio di future crisi finanziarie e di potenziali insolvenze, non vedo altre strade per arrivarci se non quanto segue.

Introdurre, paese per paese, una forma di moneta, (parallela all’euro, non necessariamente in sostituzione), utilizzata nell’ambito del singolo paese emittente, che aumenti il potere d’acquisto in circolazione e consenta una rapida ripresa di domanda, produzione e occupazione.

E ridurre, sì, o anche azzerare il deficit pubblico inteso come differenza tra incassi e pagamenti IN EURO di ogni singolo stato.

A condizione che il saldo netto tra l’immissione di moneta nazionale e la riduzione del deficit pubblico in euro sia FORTEMENTE ESPANSIVO.

Questo consentirà anche una riduzione del rapporto debito pubblico / PIL (dove il numeratore del rapporto è il debito IN EURO, quello su cui esistono rischi di insolvenza: l’unico, quindi, che rileva) ai ritmi che il Fiscal Compact si prefigge di ottenere, o anche più rapidamente.

Se si pretende, invece, di proseguire lungo la strada attuale, le conseguenze saranno: ulteriore caduta del PIL, ulteriore aumento della disoccupazione e dei fallimenti, INCREMENTO ulteriore del rapporto debito pubblico / PIL, crescente disagio sociale. Fino alla rottura del sistema.

venerdì 18 luglio 2014

Tutto confermato per Ferrara

Come già preannunciato qui: giovedì 24 luglio alle 21.
 
Di seguito i link:
 
alla pagina di presentazione dell'evento su ferraraitalia
 
alla pagina facebook di ferraraitalia
 
e alla pagina eventi di facebook

mercoledì 16 luglio 2014

Eurozona: il FMI dice che…


Dall’ultimo rapporto del Fondo Monetario Internazionale, riguardo all’Eurozona (14.7.2014).

“On fiscal policy, the overall neutral stance appropriately walks a fine line between containing the trajectory of public debt and supporting demand. But policymakers should not reach for budget cuts if growth slips below expectations”.

La traduzione letterale:

“Riguardo alla politica fiscale, l’attuale posizione – nel complesso neutrale – si posiziona in modo appropriato per percorrere un sottile linea di equilibrio tra il contenimento della crescita del debito pubblico e il sostegno della domanda. Ma i politici non dovrebbero cercare di mettere in atto tagli di budget se la crescita scivola al di sotto delle attese”.

Che cosa gli autori del rapporto avevano realmente in testa, e hanno dovuto tradurre in linguaggio finanziario-politichese:

“Che le attuali politiche funzionino, sarebbe un miracolo al di là delle capacità di tutti i santi del paradiso. La crescita sarà SICURAMENTE inferiore alle attese. Reagire con ulteriori misure di austerità costituirebbe un’ulteriore, monumentale idiozia”.

martedì 15 luglio 2014

Perché la Riforma Morbida è diversa dallo sforamento dei limiti


Come anticipato al termine del post precedente, rispondo alle osservazioni dei molti che mi hanno fatto notare come la Riforma Morbida, e in particolare l’emissione dei Certificati di Credito Fiscale, sia un diverso modo per ottenere gli stessi risultati che si conseguirebbero (più semplicemente) sforando il limite del 3% riguardo al rapporto deficit pubblico / PIL.

La differenza c’è, è sottile ma importante. Lo sforamento dei limiti implica di aumentare le emissioni di debito in euro. La Riforma Morbida no: si emettono CCF, che non sono debito bensì uno strumento monetario che verrà accettato, in futuro, a saldo di obbligazioni finanziarie verso lo Stato (una forma di moneta a utilizzo differito, in altri termini). Lo Stato NON si impegna a rimborsare i CCF in euro.

Perché questo è importante ? i limiti di Maastricht e, ancor più, il fiscal compact sono nati per prevenire il rischio che singoli stati andassero in default sul loro indebitamento. Il fiscal compact è stato infatti varato a fine 2011, nella fase più acuta della crisi dei debiti sovrani dei paesi dell’Eurozona.

L’idea era di ridurre questi rischi rafforzando i vincoli sui deficit e sui debiti pubblici. Ma in un contesto di economie ancora convalescenti dopo la crisi finanziaria del 2008, le misure di austerità introdotte per rispettare questi vincoli hanno prodotto il crollo di PIL e occupazione, e mandato fuori controllo (invece di ridurli) proprio i rapporti tra debiti pubblici e PIL.

Adottando l’euro, gli stati membri dell’Eurozona si sono spossessati della possibilità di rifinanziare o garantire i loro debiti mediante emissioni monetarie. Si sono messi nella posizione di paesi il cui indebitamento è denominato in una valuta estera, o (come avveniva in passato) in una moneta convertibile in oro.

In questo contesto, se determinati partner finanziari forniscono garanzie a paesi indebitati in oro, o in moneta estera, è comprensibile che impongano limiti a nuove emissioni di debito “forte” (chiamiamolo così).

Ma limiti stringenti di questo tipo creano deflazione e depressione, il che oltre a essere fortemente negativo sul piano economico e sociale finisce proprio per essere controproducente riguardo alla tutela degli interessi dei creditori stessi. A meno che…

A meno che, qualcos’altro sia disponibile per sostenere la domanda e per rilanciare l’economia dei debitori. I CCF svolgono appunto questa funzione: rilanciano l’economia senza aumentare il debito “vero”, quello che può causare insolvenze.

Il creditore di un paese indebitato in oro (più esattamente, in titoli di debito da rimborsarsi in oro, o in moneta convertibile in oro) è saggio se gli chiede di non aumentare quel tipo di debito. Ma è folle (o ha fini reconditi, che non sono la tutela del suo credito, e men che meno la collaborazione al rilancio dell’economia del debitore) se limita la facoltà del debitore di espandere l’economia e di riassorbire la disoccupazione emettendo moneta nazionale: definita come uno strumento finanziario che NON crea nessun possibile presupposto di insolvenza.

Rileggete il paragrafo precedente sostituendo “euro” a “oro”: rimane tutto valido…

L’unico modo sensato e cooperativo in cui il fiscal compact può essere interpretato e applicato richiede di definire i limiti di deficit e debito come riferiti esclusivamente al saldo annuale tra pagamenti e incassi statali in euro e al livello di debito vero, che NON comprende i CCF.

La Riforma Morbida ottiene appunto questo risultato. Riduce il deficit e il debito in euro. E immette nel sistema economico le risorse necessarie a rilanciare l’economia tramite una forma di moneta (non di debito), i CCF.

Sicuramente, di fronte a queste argomentazioni, qualcuno obietterà che i CCF nel momento in cui giungono a scadenza ridurranno (a parità di condizioni) gli incassi (in euro) dello stato emittente. Il che non è un problema se la ripresa dell’economia ha prodotto, nel frattempo, gettito compensativo in misura sufficiente. Ma se questo è vero, anche procedendo mediante sforamento, e non mediante Riforma Morbida, l’iniziale incremento di debito verrebbe, alla fine, assorbito.

Quest’ultima argomentazione è corretta. Tuttavia, se l’obiettivo del fiscal compact è quello di riportare sotto controllo debito e rischi di insolvenza, evitare anche transitoriamente l’incremento delle emissioni di debito è un vantaggio apprezzabile.

Ancora più coerente con questo obiettivo sarebbe accelerare il processo di riduzione del debito, rifinanziando, nella maggior misura possibile e conveniente, il debito in euro già esistente (via via che giunge a scadenza) mediante emissioni di “tax-backed bonds”(titoli che lo Stato emittente accetta in pagamento di tasse o altre obbligazioni finanziarie nei suoi confronti, in luogo di rimborsarli in euro: in pratica, un’altra forma di CCF). Il che è possibile e rende ancora più efficace la Riforma Morbida, come si spiegava qui.

domenica 13 luglio 2014

Contatto con l’entourage di Renzi


Ne abbiamo avuto uno, e mi sembra giusto riferirne, anche se sono costretto a essere piuttosto evasivo – non sono autorizzato, in altri termini, a fare il nome della persona contattata.

In supersintesi, è stato riconosciuto che la Riforma Morbida conseguirebbe tutti i risultati previsti: forte e rapida ripresa di PIL e occupazione, mantenendo nello stesso tempo in equilibrio i saldi commerciali esteri e riducendo significativamente sua il deficit pubblico che il debito pubblico. Dove il deficit e il debito sono misurati (com’è corretto fare) con riferimento alle emissioni di titoli destinati a essere rimborsati, e che quindi hanno un rischio di insolvenza: esclusi quindi i CCF (che non sono destinati a essere rimborsati e ai quali quindi non si associa in alcun modo tale rischio).

Detto questo, il governo Renzi per ora intende continuare con la ricerca di un’adesione, da parte delle autorità UE, al puro e semplice sforamento dei limiti riguardo al rapporto deficit pubblico / PIL (fermo restando che deficit e debito continuerebbero a essere garantiti – nella sostanza - dalla BCE: a maggior ragione se inizia una manovra di quantitative easing).

Questa disponibilità a concedere sforamenti (la famosa “flessibilità”) continuo a non vederla per niente. Le mie informazioni al riguardo non vanno al di là, peraltro, da quello che riportano i media. Se c’è dell’altro lo capiremo entro un paio di mesi al massimo, credo.

Su un tema connesso, molti di voi (e anche altri) mi hanno fatto notare che sforare il rapporto deficit pubblico / PIL è un modo per ottenere gli stessi risultati che si avrebbero con l’emissione dei CCF. Nella sostanza è così, ma ci sono alcune differenze non di poco conto, sia giuridiche che politiche. Torno su questo tema a brevissimo.

sabato 5 luglio 2014

Dibattito a Ferrara: si scaldano i motori…


Poi vi confermo tutto, comunque data, ora e località del dibattito sono previsti come segue:

 

24 luglio 2014, ore 21

Sala della musica di Via Boccaleone, Ferrara

All’interno del chiostro di San Paolo, circa 250 metri dal palazzo comunale.

 

Partecipanti previsti: Luigi Marattin, Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi.

 

Nel frattempo Luigi Marattin ha rilasciato questa intervista a Sergio Gessi di www.ferraraitalia.it: Sergio la definisce “imprevista apertura di credito” (rispetto, si capisce, a giudizi espressi precedentemente). Il che forse deluderà chi si aspetta un duello all’OK Corral. Io mi attendo invece un proficuo confronto e scambio di opinioni, e il curriculum di Marattin mi rende ottimista sul fatto che così sarà.

Comunque qualche annotazione su quanto dichiarato a fine intervista da Marattin ve la anticipo:

LM: “Immaginiamo che io sia lo Stato e nell’economia ci siano solo due consumatori, A e B. Io emetto un titolo di 20.000 euro, e lo do a B. A se lo compra per 18.000 euro. Ma se è vero che ora B ha 18.000 euro di liquidità in più, è altresì vero che A ha 18.000 euro in meno… l’effetto aggregato è quindi nullo. Come dicevo, è solo un gioco delle tre carte. Del resto, anche in economia “nulla si crea e nulla si distrugge” o meglio “nessun pasto è gratis”.

SG: “E’ altresì verosimile che B induca A a scongelare 18.000 euro che A avrebbe trattenuto come riserva, con l’effetto che sul mercato vengono emessi 18.000 euro che altrimenti sarebbero rimasti immobilizzati”.

LM: “E che ne sai ? E se invece A li avesse spesi ? In realtà sono sempre quei soldi che il governo (o la banca centrale) ha immesso nel sistema economico all’inizio. Ma allora tanto vale ridurre le tasse per quell’ammontare (con interventi di politica fiscale) o aumentare la base monetaria di quell’ammontare (politica monetaria). Null’altro al di fuori di questo”.

 

Già qui avevo trattato abbastanza estesamente dubbi di questa natura. Il punto fondamentale è che chi riceve 20.000 euro in CCF, equivalenti nell’ipotesi a 18.000 in euro, ha UN EFFETTIVO ARRICCHIMENTO. Chi compra i CCF contro cash non fa nient’altro che modificare il suo portafoglio di attività finanziarie, e NON HA NESSUN IMPOVERIMENTO.

Certamente, se al maggior valore di CCF in circolazione non corrispondesse nessun incremento della produzione di beni e di servizi, questo maggior potere d’acquisto si tradurrebbe esclusivamente in crescita di prezzi (inflazione). Ma l’economia italiana oggi soffre di fortissimi livelli di disoccupazione, quindi di sottoutilizzo di capacità produttiva. Il maggior potere d’acquisto stimolerà quindi maggiore produzione, e di conseguenza maggior reddito reale, non inflazione.

Il punto finale di Marattin, che lo stesso effetto si otterrebbe riducendo le tasse, o emettendo moneta (diretta, aggiungo io, ad incrementare la domanda di beni e servizi, non a erogare credito che, se manca potere d’acquisto, nessuno è interessato a contrarre) lo condivido, invece, totalmente.

Ma i CCF servono proprio a superare il problema della moneta unica: se 18 paesi utilizzano la stessa moneta, questi interventi di stimolo della domanda servono di più in certi paesi e di meno (o per niente) in altri. E se lo sgravio fiscale viene finanziato non da moneta ma da debito pubblico, abbiamo il problema che ha portato alla creazione del Fiscal Compact: i paesi in difficoltà accrescono, nell’immediato, il debito, e gli altri (leggi Germania…) temono di dovere, alla fine, pagare i debiti altrui – o di subire le conseguenze di default e dissesti che colpiscono gli altri stati, e i loro sistemi finanziari (che sono i principali acquirenti del debito nazionale).

Allora, perché la proposta CCF è risolutiva ? perché si emette una forma di moneta NAZIONALE, che è accettata SOLO dallo stato emittente (non da tutti e 18 come l’euro). E che però non può generare nessun default e nessun dissesto, perché lo stato emittente si impegna ad accettarla per saldare obbligazioni finanziarie nei suoi confronti (tasse in primo luogo) ma NON a rimborsarla in euro. Appunto per questo NON si tratta di debito. E non interferisce con gli obiettivi di contenimento del deficit e del debito pubblico contemplati dal trattato di Maastricht e dal Fiscal Compact.

Non solo non interferisce con questi obiettivi, in realtà: E’ LA SOLA VIA PLAUSIBILE (per quanto so e per quanto mi riesce di immaginare) PER RISPETTARLI.

venerdì 4 luglio 2014

Articolo su EconoMonitor

Avevo preannunciato qui una possibile uscita su Voxeu.org, rivista online di politica economica, e a valle di una serie di vicende... siamo invece usciti su un altro sito, anch'esso molto diffuso e letto a livello internazionale, EconoMonitor.com. Ecco qui il link. Cercherò (non vi prometto esattamente quando) di predisporre una traduzione italiana.
 
La Riforma Morbida in questo articolo è proposta in una modalità meno "di rottura". I Certificati di Credito Fiscale possono infatti essere utilizzati avendo in mente almeno tre diverse possibili evoluzioni.
 
La prima, quella dell'articolo EconoMonitor, è transitoria: si introducono e si mantengono in essere per il tempo e con l'intensità necessaria a far recuperare all'Italia una situazione di pieno impiego e di riallineamento di competitività nei confronti dei paesi più efficienti dell'Eurozona (Germania in particolare). La ripresa economica genera, a quel punto, un ciclo virtuoso di entrate fiscali che permette gradualmente di ridurre e poi di eliminare completamente le emissioni di CCF.
 
La seconda, che è la mia proposta base, è invece permanente: i CCF vengono continuamente emessi e utilizzati in parallelo all'euro.
 
La terza, che delineavo qui, dopo alcuni anni porta invece alla sostituzione integrale dell'euro con la nuova moneta nazionale.
 
Tutte e tre sono Riforme Morbide: in nessun caso è previsto un break-up "deflagrante". Non c'è nessuna rottura "secca" dell'euro e nessuna conversione forzata di crediti, debiti, titoli, rapporti contrattuali di qualsiasi tipo, ecc.
 
Sono tutte strade tecnicamente fattibili. Politicamente, vediamo...

martedì 1 luglio 2014

Casalecchio di Reno, i video

Resoconto completo di questo evento. Qui trovate il mio intervento (dal minuto 14.30 circa, dopo l'introduzione di Malaguti), qui quello di Claudio Moffa, e dulcis in fundo Giovanni Zibordi.
 
Devo qualche risposta ai commenti di pisnell... l'audio sicuramente non è il massimo (non c'era un sistema di amplificazione) ma con un minimissimo sforzo si sente tutto.
 
Che emettendo Certificati di Credito Fiscale senza sottostante si possa "inflazionare a piacimento da parte dei governi" è vero. In teoria. Né più né meno che con qualsiasi moneta a corso forzoso: e dal 1971 sono TUTTE a corso forzoso. Il punto è che oggi stiamo soffrendo, spaventosamente e inutilmente, per la CARENZA di domanda e di moneta (con conseguente rischio di deflazione). Non per l'inflazione...
 
E quanto "ad appassionarmi un po' di ciò di cui parlo"... pisnell, video di Titina de Filippo nella parte di Filomena Marturano in rete ne trova quanti ne vuole. Se provo ad imitarla la riuscita è molto modesta, temo. La passione (mia) può darsi che non si senta ma c'è, se no perché farei 300 + 300 km in un sabato mattina estivo e soleggiato per raccontare queste cose ? non in cambio di niente si capisce: l'attenzione del pubblico e la scaloppa alla bolognese a fine convegno compensano di tutto...