mercoledì 19 agosto 2015

Certificati di Credito Fiscale per un nuovo assetto dell’Eurosistema


D1. Che cosa propone il progetto CCF riguardo all’Italia ?

R1. In primo luogo, di emettere fino a un massimo di 200 miliardi annui di titoli di Stato – i Certificati di Credito Fiscale, o CCF – aventi natura non debitoria.

Per “natura non debitoria” s’intende che lo Stato italiano non si impegnerà a rimborsare questi titoli, bensì ad accettarli, a partire da due anni dopo la loro emissione, per ridurre il pagamento di tasse, imposte, contributi previdenziali e sanitari, multe eccetera: qualsiasi obbligazione finanziaria nei confronti della pubblica amministrazione italiana potrà essere estinta utilizzando indifferentemente CCF o euro.

 

D2. I CCF possono essere quindi essere considerati una forma di moneta ?

R2. I CCF non sono moneta legale nel senso in cui lo è l’euro. Nessun soggetto pubblico o privato è obbligato ad accettare pagamenti in CCF. Solo lo Stato emittente attribuisce al possessore di CCF la facoltà di ridurre gli impegni di pagamento altrimenti dovuti nei suoi confronti. I depositi bancari restano denominati in euro e i bilanci continuano a essere redatti in euro: l’euro resta l’unità di conto.

Pur non essendo moneta legale, peraltro, i CCF possiedono due connotati tipici della moneta. Sono una riserva di valore, in quanto il diritto a uno sgravio fiscale futuro costituisce un arricchimento patrimoniale per l’assegnatario. E sono un potenziale intermediario di scambio, in quanto, pur non esistendo un obbligo di legge, è presumibile che i CCF circolino e vengano accettati come corrispettivo di pagamento nello scambio di beni e servizi.

 

D3. Perché l’utilizzo è differito di due anni ?

R3. Perché, nel momento dell’utilizzo, i CCF a parità di condizioni riducono gli euro incassati dallo Stato italiano. Il differimento dà all’economia italiana il tempo di ottenere un significativo recupero di PIL, e quindi anche di entrate fiscali, compensando così l’effetto dell’utilizzo dei CCF quando giungeranno a maturazione.

 

D4. A chi verranno assegnati i CCF, e con quali dimensioni e tempistiche ?

R4. Il progetto attuale prevede tre destinazioni principali: le aziende private, i lavoratori e lo Stato stesso. Su 200 miliardi totali massimi all’anno, all’incirca 80 alle aziende private, 70 ai lavoratori e 50 allo Stato. Riguardo alla tempistica, le assegnazioni complessive potrebbero per esempio essere pari a 90 miliardi il primo anno del programma, aumentare a 150 il secondo e raggiungere i 200 il terzo, per poi rimanere stabili a quel livello.

Le aziende private riceveranno CCF commisurati ai costi di lavoro da esse sostenuti. E’ previsto un meccanismo a scaglioni, con maggiore incidenza percentuale sui costi pagati a lavoratori con redditi meno elevati. Per ogni 100 euro pagati in retribuzioni, imposte e contributi, l’azienda riceverà, a regime, 20 euro in CCF. Per i redditi più alti, la percentuale scenderà considerevolmente. Potranno essere previsti meccanismi incentivanti per le aziende che incrementano l’occupazione.

Per i lavoratori, il meccanismo sarà analogo, sempre a scaglioni: il lavoratore percepirà, in aggiunta a una retribuzione netta di 100 euro, 20 euro in CCF – con percentuale in discesa per i redditi alti.

 

D5. Quindi aziende e lavoratori riceveranno gratuitamente un considerevole importo di CCF. Che cosa ne faranno ?

R5. Chi non avrà esigenze finanziarie immediate, potrà mantenerli come forma di risparmio addizionale. Altrimenti potranno essere monetizzati in anticipo. Si svilupperà un attivo mercato finanziario: i CCF sono, in effetti, una categoria di titoli di Stato. Ci saranno a regime massimi 400 miliardi di CCF in circolazione (due anni di emissioni, dopo i quali le nuove assegnazioni sostituiranno quelle in scadenza).

La monetizzazione anticipata comporterà uno sconto finanziario, in quanto 100 euro di CCF equivalgono (per quanto riguarda gli impegni verso il settore pubblico italiano) a una banconota da 100 euro che non posso utilizzare se non tra due anni. Ma il valore finale è certo, addirittura più di quello di un BOT destinato a essere rimborsato in euro. Lo Stato potrebbe, infatti, andare in default sui suoi impegni di pagamento di euro, mentre il CCF avrà sempre e comunque un valore (in quanto lo Stato imporrà sempre il pagamento di tasse e imposte).

Lo sconto finanziario sarà determinato dal mercato, ma approssimativamente lo si può stimare non molto diverso da un tasso BOT a due anni.

Il compratore finale dei CCF scambiati sul mercato sarà un soggetto che avrà esigenze di pagamento nei confronti dello Stato italiano, per tasse o altro, e li utilizzerà quindi alla scadenza.

 

D6. Per quali motivo è prevista l’assegnazione di altri 50 miliardi, attribuiti direttamente allo Stato italiano medesimo ?

R6. Potranno essere utilizzati per altre forme di sostegno della domanda, quindi di spesa: integrazione di reddito alle categorie disagiate, investimenti pubblici, spesa sociale, interventi di ricostruzione in aree colpite da calamità naturali eccetera.

 

D7. Perché viene proposta un’emissione annua massima di 200 miliardi ?

R7. A causa del calo di PIL prodotto nel 2008 dalla crisi finanziaria mondiale, e ulteriormente (soprattutto dal 2012 in poi) dall’eurocrisi, il PIL italiano è fortemente inferiore al suo potenziale. Se dal 2007 in poi si fosse avuta una crescita reale media dell’1% - tasso considerato già modesto in condizioni normali – il PIL 2015 sarebbe più alto di oltre 300 miliardi. Questo è l’output gap da colmare. Una crescita media del 5% all’anno per tre anni è fattibile con la riforma proposta, e colma la maggior parte di questo deficit di PIL.

 

D8. Le assegnazioni annue massime previste però sono 200, non 300 miliardi.

R8. Sì, in quanto un’immissione di domanda nell’economia avvia una catena di eventi – il percettore di maggior reddito a sua volta in parte lo spende, aumentando il reddito di altre aziende e/o individui, eccetera. Quindi l’effetto è più che proporzionale.

 

D9. La composizione dell’intervento di 200 miliardi – 80 alle aziende private, 70 ai lavoratori, 50 in spesa pubblica – è arbitraria ?

R9. La composizione esatta sarà il frutto di decisioni politiche. E’ però fondamentale l’ordine di grandezza destinato alle aziende, in quanto occorre riallineare il costo del lavoro per unità di prodotto italiano a quello dei membri più efficienti dell’eurozona, in particolare della Germania. 80 miliardi sono il 18% circa dei costi di lavoro delle aziende private italiane, e l’attribuzione di CCF ai datori di lavoro riporta quindi la competitività italiana a livelli tedeschi, con risultati simili (anche se tramite un meccanismo differente) a quanto farebbe la “spaccatura” dell’euro e il conseguente riallineamento valutario.

Viene così meno una fonte di squilibri: senza un miglioramento della competitività italiana, buona parte del sostegno della domanda prodotto dai CCF alimenterebbe domanda di prodotti esteri, squilibrando la bilancia commerciale. In questo modo, al contrario, le aziende italiane diventeranno immediatamente più competitive, esporteranno di più, e guadagneranno mercato interno nei confronti delle importazioni.

Va notato che questo non comporta un danno significativo per la Germania, perché, in aggiunta a quanto sopra, l’Italia otterrà anche una forte ripresa economica, il che aumenterà il suo import, compreso di prodotti nordeuropei. Oggi i saldi commerciali italiani sono positivi (partite correnti attive per il 2% circa nel 2014), ma solo grazie a una domanda interna molto depressa, che limita le importazioni. Con la ripresa dell’economia, i due effetti si compenseranno – più import per la maggior domanda, maggior export netto per la maggior competitività. La bilancia commerciale italiana resterà in equilibrio, ma a livelli decisamente più alti sia di import che di export.

 

D10. Si diceva prima che le erogazioni non saranno pari a 200 miliardi fin dal primo anno, ma raggiungeranno questo livello nel corso di un triennio…

R10. E’ realistico scaglionare l’intervento nel tempo, perché la maggior domanda dovuta ai CCF stimolerà le aziende a produrre di più, ma rimettere in moto la capacità produttiva oggi inutilizzata richiede tempo. I livelli effettivi e la distribuzione temporale saranno tarati in funzione della risposta dell’economia, in modo che l’occupazione recuperi senza che l’inflazione risalga in modo eccessivo. Oggi siamo a zero inflazione e occorre ritornare al 2%.

Anche la quota destinata alle aziende (gli 80 miliardi) potrà essere regolata nel tempo, sempre con l’obiettivo di mantenere in sostanziale pareggio i saldi commerciali esteri.

 

D11. Il progetto prevede anche l’introduzione dei cosiddetti “BTP fiscali”. Di che cosa si tratta ?

R11. Sono titoli di stato con scadenze varie – anche pluriennali – che non pagano interessi e capitale in euro. Danno invece diritto, via via che interessi e capitale maturano, a ridurre per pari importo impegni finanziari verso la pubblica amministrazione. Esattamente come i CCF, appunto.

 

D12. Come verranno introdotti, e con quali finalità ?

R12. In primo luogo, nel momento in cui cominceranno le assegnazioni dei CCF, si darà la possibilità a tutti i possessori di titoli di stato “tradizionali” (BOT, CTZ, BTP, CCT eccetera) di convertirli in BTP fiscali, con scadenze più lunghe e con un tasso d’interesse più alto. Per esempio un BTP con tre anni di vita residua e cedola del 2% potrebbe essere convertito in un BTP fiscale con sei anni di vita residua e cedola del 4%. Questa opzione di conversione rimarrà esercitabile (da parte del possessore del titolo) per tutta la vita residua.

Si evita in tal modo che l’annuncio della riforma dia luogo a movimenti speculativi sui mercati finanziari. Se il mercato dovesse reagire negativamente, si potrebbe creare una pressione al ribasso nel valore nei titoli di stato in circolazione (quelli tradizionali) creando problemi, per esempio, ai bilanci degli investitori istituzionali (banche, assicurazioni eccetera) che li possiedono. Ma se un titolo di stato è sempre convertibile in BTP fiscali – quindi in un titolo che mantiene sempre, con certezza, un valore, perché è utilizzabile per pagare tasse e non ha quindi rischio di default – la pressione al ribasso sopra citata incontra una soglia.

Questa, peraltro, non è l’unica finalità. Tanti più titoli vengono convertiti in BTP fiscali, tanto più diminuisce l’ammontare di titoli di stato “tradizionali”, che possono dar luogo a default. Si riduce così la possibilità di una “crisi dello spread” come quella del 2011.

Per quanto riguarda le nuove emissioni, anch’esse dovranno avvenire, nella maggior misura possibile, mediante BTP fiscali e non emettendo titoli “tradizionali”. Il debito in euro, quello che deve essere rimborsato e quindi può dar luogo a default, deve essere ridotto il più rapidamente possibile, idealmente a zero. E’ prevedibile che sul mercato ci sia interesse per le emissioni di BTP fiscali, anche in funzione del fatto che verranno ridotte – idealmente azzerate – quelle di titoli “tradizionali”, e che i loro abituali compratori (specialmente gli investitori istituzionali italiani) dovranno reimpiegare la loro liquidità. Uno strumento d’investimento senza rischio di default è interessante per motivi analoghi a quelli che rendono appetibile un titolo di stato in moneta sovrana.

 

D13. Ma i CCF e i BTP fiscali non sono comunque debito pubblico ?

R13. No, perché lo Stato italiano li accetterà in pagamento di imposte e altre obbligazioni finanziarie nei suoi confronti, ma non dovrà mai rimborsarli. Non dovendoli rimborsare, l’emittente non potrà, quindi, mai essere forzato al default.

 

D14. Quale sarà la reazione dei partner europei ?

R14. Il progetto CCF è la via per rendere sostenibile il sistema monetario europeo (senza attuare una “transfer union”, che la Germania non accetta) ed elimina il rischio di una deflagrazione dell’Eurozona. Inoltre, non si richiede alcun contributo finanziario alla Germania, e non si convertono le attività finanziarie italiane (depositi bancari, titoli di Stato) in moneta svalutata.

 

D15. I trattati vanno riformulati ?

R15. Nella forma attuale, sono ineseguibili. D’altra parte sono stati concepiti su istanza dei paesi dell’ex area marco, che temono di doversi far carico dei debiti di uno o più paesi del sud. Il progetto CCF produce una forte ripresa economica dei paesi che lo adottano e nello stesso tempo riduce, con l’obiettivo realistico di azzerare, il debito che crea rischio di default.

 

D16. Esistono tuttavia dubbi che il progetto CCF possa essere attaccato in quanto non conforme ai trattati.

R16. Paradossalmente chi solleva questo tema afferma spesso che, essendo il progetto CCF a rischio di attacco sulla base della non conformità ai trattati… bisogna attuare il breakup ! Come se il breakup li rispettasse…

Il punto chiave è che il progetto rende possibile il conseguimento degli obiettivi economici che i trattati si prefiggono, in quanto consente sviluppo economico, occupazione, stabilità monetaria e riduce rapidamente, fino a eliminarli, i rischi di default sui debiti pubblici e i conseguenti dissesti finanziari. Al contrario, gli obiettivi dei trattati non sono conseguiti da una serie di altre azioni – l’OMT, le iniziative di sostegno intraprese dalla BCE, il QE stesso – che, a loro volta, sono attualmente oggetto di azioni legali. Si può sicuramente affermare che il progetto CCF è, rispetto a queste iniziative, almeno altrettanto conforme ai trattati, nonché enormemente più efficace per quanto attiene al raggiungimento dei loro obiettivi.

E’ importante tenere a mente che i CCF non sono debito, in quanto lo stato emittente non ha obbligazioni di rimborso. Ma non violano neanche il monopolio di emissione della BCE, che riguarda la cosiddetta “legal tender”, cioè la moneta che estingue qualsiasi tipo di obbligazione denominata in euro. I CCF emessi dallo Stato italiano non danno diritto a estinguere un’obbligazione nei confronti di un soggetto privato, italiano o estero. Solo lo stato emittente si impegna ad accettarla, a partire da due anni dopo l’emissione: e questa è l’origine del loro valore.

 

D17. Che effetti si verificano riguardo al fiscal compact ?

R17. Il fiscal compact impone un percorso accelerato di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL. Per l’Italia (ma anche per altri paesi) si tratta di obiettivi totalmente irrealistici. Tentare di conseguirli richiederebbe manovre fiscali pesantissime che abbatterebbero ulteriormente il PIL, causando l’aumento – non la riduzione - del rapporto debito / PIL.

Nelle condizioni attuali il fiscal compact è quindi ineseguibile. Il progetto CCF, d’altra parte, fornisce proprio la via per rispettarlo, appunto perché i CCF e i BTP fiscali non sono debito, in quanto non creano rischio di default. In questo modo gli obiettivi di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL sono raggiungibili. E gli interessi diventano collimanti: il debito pubblico italiano espresso in euro, che la Germania teme, un giorno, di doversi sobbarcare a seguito di un default italiano, scende rapidamente e viene sostituito da titoli non soggetti a default. Situazione enormemente più tranquilla sia per la Germania che per l’Italia.

E’ anche possibile definire una serie di clausola di salvaguardia tali per cui il paese che emette i CCF si impegna a mantenere, sempre e comunque, un saldo prestabilito tra pagamenti e incassi in euro – il 3% originariamente previsto dal trattato di Maastricht, o addirittura un saldo zero. Nel momento in cui evoluzioni negative della congiuntura, o qualsiasi altra circostanza, impedissero il raggiungimento di questi obiettivi, alcune componenti di spesa pubblica in euro potrebbero essere sostituite da (ulteriori) erogazioni di CCF; oppure, potrebbero essere introdotte o incrementate alcune forme di prelievo fiscale, compensando però il prelievo con erogazioni di CCF al contribuente; o ancora, il possessore di CCF potrebbe essere incentivato a posporne l’utilizzo, riconoscendo un incremento di valore facciale in funzione del differimento (in pratica, un tasso d’interesse).

L’utilizzo di queste opzioni avrebbe effetti assai meno prociclici rispetto ai tagli di spesa pubblica e/o alle maggiori tasse imposte attualmente dalle regole UE in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. Non si avrebbero, infatti, drenaggi di potere d’acquisto, ma solo sostituzioni di una forma di attività patrimoniale (gli euro) con un’altra (i CCF).

 

D18. L’emissione di CCF non produrrà inflazione ?

R18. L’assegnazione di CCF produce un forte recupero della domanda e del PIL, ma gli effetti inflazionistici sono enormemente limitati dall’altissima quota di disoccupazione, quindi di capacità produttiva inutilizzata. Solo se l’ammontare emesso superasse i livelli che consentono il ripristino della piena occupazione si produrrebbe un eccesso d’inflazione. Va anche ricordato che, attribuendo CCF alle aziende in funzione dei loro costi di lavoro, se ne riducono i costi produttivi, con un effetto mitigante sull’inflazione. Peraltro, se un qualche modesto incremento avesse luogo, è esattamente quanto serve per riportarla dall’attuale zero (con rischio di cadere in deflazione) all’obiettivo BCE del 2%.

 

D19. Perché preferire il progetto CCF alla “spaccatura” dell’euro ?

R19. Perché è una riforma che può essere tranquillamente discussa e analizzata alla luce del sole e non una “deflagrazione” da attuare di sorpresa, in tempi rapidissimi, con rischi di panico bancario e sui mercati finanziari.

Perché non costringe la Germania a lavorare, d’improvviso, con una moneta rivalutata.

Perché non c’è svalutazione dei crediti stranieri verso l’Italia.

Perché non ci sono effetti redistributivi su aziende e banche, e contenziosi in quanto non è esattamente chiaro quali crediti e debiti si convertono in “Euro Nord” o “Nuovi Marchi”, e quali in “Euro Sud” o “Nuove Lire”.

Perché il cittadino italiano non si vede trasformare i suoi risparmi, il suo stipendio, la sua pensione, d’improvviso, in un oggetto diverso, di cui è chiaro solo che varrà di meno.

 

D20. Il progetto CCF è applicabile ad altri paesi ?

R20. Certamente: tutti i paesi dell’Eurozona che hanno oggi difficoltà, o comunque livelli di competitività inferiori a quelli tedeschi, nonché alta disoccupazione, possono introdurli (anzi è raccomandabile che lo facciano). Ciò nella misura, caso per caso, opportuna per ripristinare competitività e piena occupazione, rispettando i vincoli di inflazione stabile e moderata, e di equilibrio nei saldi commerciali esteri.

 

D21. I CCF diventeranno, a un certo punto, una vera e propria moneta circolante ?

R21. Il progetto funziona anche a prescindere che i CCF vengano utilizzati per transazioni correnti. Tuttavia è probabile che l’utilizzo quotidiano prenda piede e si incrementi. Anche senza emetterli sotto forma di monete e banconote ma usandoli per pagamenti elettronici (ad esempio via carta di credito) e come sottostante nella definizione di contratti di lavoro, affitto, compravendita, eccetera. E’ possibile che, a un certo punto, il CCF diventi a tutti gli effetti la moneta circolante principale.

 

D22. Questo significa che il progetto CCF è, di fatto, una “via morbida” per l’uscita dall’euro ?

R22. Non è scontato che lo sia, ma è effettivamente una possibilità. Per esempio, evoluzioni economiche sfavorevoli possono portare determinati paesi a emettere CCF in misura superiore al previsto (in particolare, a causa di un utilizzo frequente delle clausole di salvaguardia). In questa eventualità, si verificherebbe una perdita di valore dei CCF emessi da quello stato, che tuttavia non pregiudicherebbe il valore dell’euro. Si inflazionerebbero, in pratica, i CCF emessi dal paese, senza conseguenze per gli altri.

Questo è uno scenario, forse il più probabile, che porterebbe a quanto detto sopra, cioè a rendere la circolazione di CCF predominante, in singoli paesi, rispetto a quella degli euro. A quel punto ci sarà la possibilità (che potrà anche essere disciplinata da regole preconcordate) di trasformare i CCF in una vera e propria moneta nazionale, realizzando appunto la fuoriuscita morbida dall’Eurosistema.

In definitiva, quindi, se l’evoluzione macroeconomica è in linea con le attese, il paese che emette i CCF può mantenere in essere un sistema in cui i CCF svolgono una funzione complementare all’euro, per un periodo di tempo indefinito.
Se invece decide di utilizzare i CCF come transizione verso l’uscita totale dall’Eurosistema – o se diventa opportuno farlo perché la circolazione dei CCF finisce per essere predominante -  i CCF sono effettivamente una “via morbida” all’exit, che evita le notevoli complicazioni e incertezze connesse alla “spaccatura” dell’euro.

mercoledì 12 agosto 2015

Una nuova meccanica per l'Eurosistema

Biagio Bossone - Marco Cattaneo



 
 

 
Contrariamente alle sue premesse, l’euro si è rivelato fonte di divisioni e fattore di regresso. Ritenendo irrealistico pensare di riformare l’Eurosistema, ma consapevoli dei rischi di rotture traumatiche, proponiamo misure coerenti con le sue attuali regole, che ridiano efficacia alla politica macroeconomica, garantiscano stabilità finanziaria e aiutino i paesi membri che non vogliono o non possono restare nel sistema a uscirne in modo morbido. 

 

 

 

Speranze perdute, nuovo realismo

 

Questa Europa dell’euro non è certo quella in cui in molti avevano creduto: fatta, sì, di più regole e disciplina, ma con lo sguardo rivolto a una moneta – l’euro – che fosse non solo simbolo ma veicolo stesso d’integrazione, coesione, progresso. Di quell’Europa, invece, proprio l’euro è diventato l’ostacolo più grosso, rivelandosi fonte di divisioni e contrapposizioni, fattore di regresso e generatore di arroganza dei forti contro i deboli e di assoggettamento di questi verso i primi.

 

Per chi ha coltivato il sogno di una moneta unificante, pensare oggi di riformare le istituzioni europee per riportarle dentro quel sogno è puramente illusorio. Prendendo atto delle difficoltà operative e delle turbolenze potenziali di una rottura brusca e traumatica dell'euro, chi scrive propone misure che, assunte individualmente da ciascun paese, compensino le carenze dell’attuale sistema e consentano di:

·         generare una ripresa economica degli stati membri più colpiti dalla crisi,

·         ridurre al minimo i rischi di insolvenza riconducibili al debito pubblico di alcuni di questi stati, e

·         delineare un’eventuale percorso di uscita morbida e senza tensioni dall’Eurosistema di uno o più stati membri.

 

Sulla base di un necessario realismo, dunque, puntiamo a un ridisegno della meccanica dell’Eurosistema che ridia efficacia alla politica macroeconomica, permetta di recuperare un quadro di stabilità fiscale e finanziaria, e aiuti i paesi membri che non vogliono o non possono restare nel sistema a uscirne in modo morbido.

 

I Certificati di Credito Fiscale

 

Nel nostro progetto gioca un ruolo centrale uno strumento tecnico di cui proponiamo da tempo l’introduzione, denominato Certificato di Credito Fiscale (CCF).[1] I CCF sono titoli che danno diritto al possessore di ridurre i pagamenti per imposte e qualsiasi altro tipo di obbligazione finanziaria nei confronti della pubblica amministrazione dello stato emittente, a partire da una data futura prestabilita (per esempio, due anni, di cui si dirà dopo).

 

Il possessore di CCF acquisisce il diritto a ridurre le proprie obbligazioni finanziarie nei confronti dello stato emittente. Di conseguenza, i CCF hanno un valore economico: il possessore di CCF può mantenerli in portafoglio, oppure cederli (contro euro) prima della data di esercizio per un valore pari al loro importo di utilizzo al netto di uno sconto finanziario.[2] Gli intermediari trovano conveniente acquistare CCF per utilizzarli come sconti fiscali o per rivenderli a terzi a uno sconto minore.

 

Assegnazioni di CCF

 

Singoli stati membri dell’Eurozona emettono CCF, assegnandoli gratuitamente a:

·         lavoratori sia dipendenti che autonomi, appartenenti al settore privato o pubblico: i redditi netti effettivi di tali lavoratori ne risultano incrementati

·         aziende, in funzione dei costi di lavoro da esse sostenuti. Questo produce una riduzione del cuneo fiscale e quindi del costo lordo del lavoro, migliorando la competitività aziendale

·         interventi di sostegno alla spesa sociale, tra cui indennità di disoccupazione, integrazione di redditi, pensioni minime, benefici per fasce sociali disagiate

·         Finanziamento/cofinanziamento di investimenti pubblici e opere di pubblica utilità.

 

Le assegnazioni di CCF conferiscono ai percettori nuovo potere d’acquisto. Molti convertono i CCF in euro e li spendono in consumi. Le imprese fanno altrettanto e hanno anche la possibilità di utilizzare il minor carico fiscale per ridurre i prezzi e recuperare competitività. In un’economia depressa, la spesa  stimolata dalle emissioni di CCF ha un effetto moltiplicativo su reddito e occupazione. Durante il periodo di differimento fra assegnazioni e scadenza dei CCF, il nuovo output genera nuovo gettito fiscale che finanzia i minori introiti derivanti dall’esercizio dei CCF.

 

Gli stati membri dell’Eurozona avviano un programma di emissione di CCF, puntando a::

·         rafforzare la domanda interna e conseguente incremento di PIL e occupazione

·         migliorare la competitività delle produzioni domestiche (grazie alla quota di CCF assegnata alle aziende). Questo evita che l’innalzamento della domanda interna crei squilibri nei saldi commerciali esteri, sostenendo le esportazioni e favorendo la sostituzione con produzioni interne di una parte delle importazioni di beni e servizi

·         evitare che si crei una situazione di deflazione o comunque di inflazione interna cronicamente inferiore all’obiettivo della BCE (“inferiore ma prossima al 2%”).

 

I CCF sono oggetti ibridi…

 

I CCF non sono titoli di debito: lo stato emittente non assume alcun impegno di rimborsarli in euro, ma solo di accettarli per ridurre le obbligazioni finanziarie nei suoi confronti. Non esiste fattispecie, né teorica né pratica, sotto la quale lo stato emittente possa andare in default sulle obbligazioni sottostanti i CCF.

 

I CCF non sono neanche moneta legale, che resta unicamente l’euro. Nessun soggetto privato o pubblico è obbligato ad accettare pagamenti in CCF. Solo lo stato emittente attribuisce al possessore di CCF la facoltà di ridurre gli impegni di pagamento dovuti nei suoi confronti.

 

L’unità di conto rimane l’euro, i depositi bancari restano denominati in euro, e i bilanci pubblici e privati continuano a essere redatti in euro.

 

…sono però riserva di valore e potenziale mezzo di pagamento

 

Pur non essendo moneta legale, i CCF possiedono due caratteristiche tipiche della moneta. Sono una riserva di valore, in quanto il diritto a uno sgravio fiscale futuro costituisce un arricchimento patrimoniale dell’assegnatario. E sono un potenziale mezzo di pagamento in quanto, pur non sussistendo un obbligo di legge, è presumibile che essi circolino e vengano accettati come corrispettivo di pagamento nello scambio di beni e servizi. Naturalmente, è necessaria a tal fine un’infrastruttura di pagamento che renda possibile la loro circolazione in via elettronica.

 

Stabilità fiscale

 

Obiettivi di bilancio pubblico

 

I trattati che governano il funzionamento dell’Eurosistema vincolano gli stati membri al raggiungimento di determinati obiettivi di finanza pubblica. Quando la situazione economica generale è negativa, tuttavia, il tentativo di conseguire una riduzione del deficit pubblico mediante politiche fiscali restrittive produce effetti pro-ciclici che non consentono il raggiungimento dell’obiettivo, o lo permettono solo a costi sociali altissimi. L’introduzione dei CCF risolve quest’incoerenza interna all’Eurosistema. Ogni stato membro può impegnarsi, per esempio, al mantenimento di un saldo zero tra incassi e pagamenti in euro, avendo a disposizione lo strumento delle assegnazioni di CCF per effettuare le necessarie politiche di stimolo anticiclico della domanda.

 

Per i paesi che devono recuperare domanda interna e competitività – in particolare, Italia, Spagna e Francia – un programma CCF correttamente impostato è, con ogni probabilità, sostenibile nel tempo. In presenza di un moltiplicatore fiscale (rapporto tra espansione del PIL e CCF emessi) anche leggermente inferiore all’unità, operante nel corso del periodo di differimento dei CCF, questi paesi possono conseguire gli obiettivi di rilancio economico senza peggiorare il rapporto tra deficit pubblico e PIL. Se poi il moltiplicatore fiscale è superiore a 1 (come la maggior parte della dottrina macroeconomica ritiene, in contesti di economia fortemente depressa) il programma, addirittura, si autofinanzia totalmente e genera risorse fiscali aggiuntive. Anche nel momento in cui (due anni dopo l’inizio delle assegnazioni) i CCF cominciano a essere utilizzati per ridurre i pagamenti di imposte, le maggiori entrate fiscali conseguenti al più alto livello di PIL compensano totalmente il calo di gettito connesso all’utilizzo dei CCF.

 

Clausole di salvaguardia

 

Nel caso in cui uno stato che adotta il programma CCF abbia difficoltà a raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica, a causa, per esempio, di un quadro congiunturale più sfavorevole del previsto, esso può attivare clausole di salvaguardia interventi volti ad assicurare l’equilibrio entrate/uscite in euro e il contenimento del debito pubblico. In particolare, può:

·         sostituire alcune componenti di spesa in euro, erogando una parte del corrispettivo in CCF

·         introdurre (o incrementare) alcuni prelievi fiscali, compensando il prelievo di euro con erogazioni di CCF (in pratica, si tratterebbe non di tassazione ma di conversione forzosa di euro in CCF)

·         incentivare i detentori di CCF a posporne l’utilizzo per sconti fiscali, riconoscendo un incremento del loro valore facciale (in pratica, un tasso d’interesse) connesso a questo differimento

·         collocare nuovi CCF sul mercato in cambio di euro.

 

L’utilizzo di queste opzioni avrebbe effetti assai meno pro-ciclici rispetto ai tagli di spesa pubblica e/o alle maggiori tasse imposte dalle regole dell’UE in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi. Essi non causerebbero drenaggi di potere d’acquisto, ma sostituirebbero una forma di attività patrimoniale (gli euro) con un’altra (i CCF).

 

Stabilità finanziaria

 

Rottura della spirale crisi del debito sovrano / crisi del sistema bancario

 

L’introduzione dei CCF crea anche le condizioni per ridurre gradualmente, fino a eliminarlo, un altro grave problema insito nell’Eurosistema. Le istituzioni finanziarie e in particolare i sistemi bancari nazionali detengono grosse quantità di titoli di stato emessi dal loro paese di residenza. L'insolvenza dello stato produce quindi gravi dissesti per il locale sistema bancario. Allorché i CCF entrano in circolazione, si verifica negli attivi delle banche una parziale sostituzione di titoli di stato tradizionali con CCF. Contestualmente diminuisce il rischio che il default dello stato mandi in crisi il sistema bancario locale.

 

Stabilità monetaria dell’Eurosistema e opzione di uscita “morbida”

 

Evoluzioni meno favorevoli del previsto possono portare determinati paesi a incrementare eccessivamente i CCF in circolazione (ad esempio, a causa di un ricorso troppo esteso alle clausole di salvaguardia). In quest’eventualità, si verificherebbe una perdita di valore dei CCF emessi da quello stato, che tuttavia non pregiudicherebbe il valore dell’euro. Si inflazionerebbero, in altri termini, i CCF del paese e non l’euro, senza conseguenze per gli stati che non emettono CCF.

 

Un singolo stato che si trovasse costretto a inflazionare le assegnazioni di CCF si troverà nella situazione in cui la circolazione di CCF è predominante rispetto a quella di euro. A quel punto ci sarà la possibilità (che potrà in effetti essere disciplinata a priori) di trasformare i CCF in una moneta statale a tutti gli effetti, realizzando quindi una fuoriuscita morbida di quello stato dall’Eurosistema.

 

Cosa ne penserebbero i nostri partner?

 

L’elite tedesca, in questo momento rappresentata soprattutto dal Ministro delle Finanze Schaeuble, ha capito che l’Eurosistema non funziona, salvo adottare politiche di stampo keynesiane e trasferimenti che però tanto la Germania quanto gli stati membri nord-europei ritengono un insuperabile tabù. Segnali significativi in tal senso sono il rapporto dei cinque saggi in Germania e il piano scritto proprio da Schaeuble, entrambi resi noti nei giorni scorsi Si tratta, in pratica, di proposte volte a rafforzare i meccanismi ordoliberisti e prevedere che chi non riesce a conviverci esca dal sistema. In quest'ottica, la Germania era pronta (e lo è tuttora) ad attivare la Grexit.[3]

 

È tuttavia ragionevole ritenere che uno schema tipo CCF, che consenta l'uscita morbida di Italia, Spagna e probabilmente Francia, possa non essere mal visto dalla Germania e i suoi paesi satelliti. La Germania proseguirebbe l’integrazione con i paesi in grado di seguire le proprie regole (Olanda, Austria e qualcun altro), mentre gli altri paesi si separerebbero garantendo la solvibilità dei propri debiti.[4]

 

Per una nuova meccanica dell’Eurosistema: conclusione

 

In conclusione, allorché una riforma dell’Eurosistema richiederebbe di mettere pesantemente le mani sul disegno architetturale del sistema, sulle sue istituzioni centrali e persino sui principi che ispirano le loro politiche, noi non nutriamo questa ambizione.

 

Non ne vediamo né le premesse né i paesi o i leader che possano ispirare la volontà comune di guardare a una simile riforma. No, noi non puntiamo a quanto riteniamo essere oggi politicamente impossibile. D'altra parte, riteniamo che una rottura del sistema abbia grosse difficoltà attuative e comporti rischi di destabilizzazione del sistema finanziario difficili da valutare.

 

Proponiamo invece una meccanica stabile per chi vorrà restare, che renda finalmente possibile coniugare sostenibilità fiscale e finanziaria e forte ripresa della crescita, e che al contempo consenta di preparare un’uscita morbida per chi vorrà uscire o per chi non potrà reggere il passo degli altri.



[1] La proposta è stata illustrata in modo dettagliato e approfonditamente studiata nell’e-book di recente pubblicazione da Micromega “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro”, a cura di B. Bossone, M. Cattaneo, E. Grazzini e S. Sylos Labini, con la prefazione di L. Gallino (http://temi.repubblica.it/micromega-online/“per-una-moneta-fiscale-gratuita-come-uscire-dallausterita-senza-spaccare-leuro”-online-il-nuovo-ebook-gratuito-di-micromega/). Una recente e sintetica presentazione dell’idea di fondo, arricchita di ulteriori considerazioni, è riportata in B. Bossone e M. Cattaneo,  “I Certificati di Credito Fiscale e John Maynard Keynes”, Keynes Blog, 20 luglio 2015  (http://keynesblog.com/2015/07/20/i-certificati-di-credito-fiscale-e-john-maynard-keynes/).
  
[2] Tale sconto sarà presumibilmente non molto diverso dal tasso d’interesse applicabile a un normale titolo di stato di pari durata.
[3] Si vedano su Reuters, “German "wisemen" say euro zone states should be able to go bankrupt”, 28 July, 2015 (http://mobile.reuters.com/article/idUSB4N0ZN01L20150728) e su Financial Times, “Schäuble outlines plan to limit European Commission powers”, 30 July 2015 (http://www.ft.com/intl/cms/s/0/88352cf2-3697-11e5-bdbb-35e55cbae175.html#axzz3hYe9OAHs).
 
 
[4] Tali debiti rimarrebbero in euro e diminuirebbero rapidamente in proporzione al PIL, grazie alla garanzia del pareggio incassi-uscite in euro, sopra discussa, e utilizzando i CCF per far ripartire le economie e attivando, se necessario, le clausole di salvaguardia.

giovedì 6 agosto 2015

A New Mechanism for the Eurosystem

By Biagio Bossone and Marco Cattaneo




Lost hopes and new realism

Today’s Eurosystem is certainly not the system that many European citizens had in mind when they first thought about the single currency. Indeed, they expected a system built on strong rules and discipline. Yet they expected above all a system whose new currency - the euro - would be a symbol of and a vehicle to further European integration, cooperation and economic prosperity. To that vision the euro has become the biggest obstacle, proving to be an instrument of division, a source of conflicts, and a generator of arrogance and subjugation.

For those who cultivated the dream of a unifying currency, thinking today of reforming the EU institutions with a view to bringing them back into that dream is pure illusion. We start from this premise. Yet, being aware of the deep uncertainty surrounding a traumatic breakup of the system, we propose a set of measures that would make possible within the system’s  current structure to:
·         Engineer economic recovery by those member states that are most affected by the crisis
·         Minimize the risk of default from member states that are most exposed to debt, and
·         Allow a soft exit for those member states that choose to leave the euro.

A fiscal plan

In an economy where the public sector may not increase spending, we propose that the government issues special non-debt instruments, the Tax Credit Certificate (TCCs). These certificates entitle their holders to a reduction of taxes, fees and all other financial obligations to the public sector, two years from their issue-date and for amounts equivalent to their face value. We will discuss the two-year deferral period shortly. The TCCs are transferable securities that can be traded for euros, thus making immediate spending possible. Likely, these securities will trade at a discount of a similar size to that on a two-year zero-coupon bond. Those who sell TCCs want to be able to spend their value. Those who buy them acquire the right to future tax cuts (and therefore to future savings). Financial intermediaries can buy TCCs at a discount from those who want to sell them, and will either use them for future tax cuts or sell them at a lower discount and make a profit in return.

TCC assignments

Individual member states of the Eurozone issue TCCs and assign them (free of charge) to a number of social categories and for a number of purposes, including:
·         Employees and self-employed workers, both in the private and public sector: this adds to their actual net income
·         Companies, based on their labor costs: this reduces the tax wedge (and hence their gross staff costs) and improves their competitiveness
·         Measures to support social spending, such as unemployment benefits, integration of income and minimum pensions, benefits for disadvantaged social groups
·         Financing and co-financing of public investment and public works (public procurement with payments partially or totally paid out in TCCs instead of euros).

As the state assigns TCCs to households and companies, many households will want to convert them into euros for spending purposes. Companies, on their side, will likely do the same or will take advantage of the lower tax burden to lower their prices and restore competitiveness. In a depressed economy, spending stimulated by TCC issuances will have a multiplier effect on income and employment. Prospects of credit risk will improve and strengthen the incentive for banks to resume lending to production and investment. During the two-year deferral on the TCCs, new output will follow from new spending and will generate new tax revenue that will finance the tax reduction. This will prevent the deficit-to-GDP ratio from going up.

TCC volumes and allocations

Eurozone member states shall establish a program for the issue of TCCs, aiming to achieve the following results:
·         Stimulating domestic demand and consequently increase GDP and employment
·         Improving external competitiveness of domestic production (via TCC assignments to companies): this prevents the increase in domestic demand from resulting in foreign trade imbalances, by supporting exports and encouraging import substitution
·         Fighting deflation or chronically below ECB-target inflation.

The TCCs are hybrid securities...

The TCCs are not debt instruments: the issuing state makes no commitment to repaying them in euros, it only promises to reduce taxpayer obligations by an equivalent amount. There is no possibility, either theoretical or practical, that the issuing state might be forced to default on the TCCs.

The TCCs are not legal tender. The only legal tender of the Eurozone member states remains the euro. No private or public entity is obliged to accept payments in TCCs. Bank deposits continue to be denominated in euros, and public and private budgets and balance sheets continue to be drawn up in euros.

...yet they are a store of value and potential means of payment

While they are not legal tender, the TCCs bear two characteristics that are typically associated with money. They are a store of value, since the right to future tax reliefs attached to them is a source of value. And they are a potential means of payment since, apart from legal obligations, it is likely that the TCCs will circulate and be accepted for payment in exchange of goods and services, provided that the payment infrastructure allows for circulation of electronic (dematerialized) securities.

Fiscal stability

Public budget targets

The treaties that govern the operation of the Eurosystem bind member states to attain certain fiscal targets. When general economic conditions are bad, the attempt to achieve a reduction of the public deficit through restrictive fiscal policies produces pro-cyclical effects. Under such effects, either the governments fail to achieve the given targets, or they have to impose additional costs on the society if they want to secure their achievement. The introduction of the TCCs addresses this internal inconsistency of the Eurosystem. Each member state can commit, for example, to maintaining a zero balance between euro receipts and payments, as it can rely on TCC assignments to engineer the necessary stimulus.

Sustainability of the program CCF

For all countries of the Eurosystem that need to stimulate demand and recover external competitiveness – most notably Italy, Spain and France – a TCC program would in all likelihood be sustainable. With a fiscal multiplier (ratio of GDP growth and TCCs issued) slightly less than one, these countries would achieve the policy objectives described above (raise output and employment, balance foreign trade, price stability) without worsening the deficit-to-GDP ratio. Moreover, if the fiscal multiplier exceeds 1 (as econometric evidence generally shows to be the case in all highly depressed economies), the program non only fully funds itself but also generates additional fiscal resources. When two years after issuance the TCCs start being used to reduce tax payments, the higher tax revenues resulting from the higher level of GDP offset the decline in revenue due to the use of the TCCs.

Safeguard clauses

However, if a government that is implementing a TCC program has difficulty reaching its fiscal targets, due to, say, less than favorable economic conditions, it can take a number of actions to ensure a balanced euro budget and public debt consolidation. Specifically, it may introduce a number of safeguard clauses into the program, which would be triggered in the event that output growth were to generate less tax revenues than expected. The government may:
·         Announce its commitment to finance a (presumably small) share of its expenses in TCCs
·         Compensate taxpayers for tax raises by assigning them with new TCCs (this would be equivalent to replacing tax increases with compulsory TCC-for-euro swaps)
·         Incentivize TCC holders to delay the use of their maturing TCCs for tax rebate by increasing the value of their TCC holdings (this would be equivalent to paying an interest in the form of new TCCs)
·         Raise euro funds from the capital market by placing TCCs with longer maturities instead of issuing debt.

The effect of these clauses would be way far less pro-cyclical than cutting public expenditure and/or raising taxes since, as under EU rules, they would not drain purchasing power from the economy and would only replace one type of assets (euros) with another (TCCs) in the portfolio of TCC holders.

Financial stability

Breaking the spiral between sovereign debt crisis and banking crisis

The introduction of the TCCs also creates conditions for reducing and gradually eliminating another serious problem inherent in the Eurosystem. Financial institutions, in particular the national banking systems, hold large amounts of government bonds issued by their government. As a result, state insolvency causes severe disruptions to them.

As TCCs starts being issued, banks can partially replace traditional government bonds with TCCs on the asset side of their balance sheet. This progressively lowers the risk that state default hits the local banking system.

Eurosystem monetary stability and “soft” exit option

Underperformance of fiscal targets, due to, say, less favorable than expected revenues, may lead certain countries to increase excessively the issuance of new TCCs (for example as they need to resort to safeguard clauses too often). In this case, the TCCs would lose value in terms of domestic prices but that would not affect the value of the euro, avoiding any negative impact on the countries that do not issue (or do not over-issue) TCCs.

A country that would over-issue TCCs eventually might find itself in a situation where the domestic circulation of TCCs would be predominant with respect to that of euros. At that point, there will be the possibility (which might in fact be regulated a priori) to transform the TCCs into a national currency, thus de facto enacting a soft exit from the Eurosystem.

What would our partners think?

German leading opinion – currently personified by Germany’s Minister of Finance Wolfgang Schaeuble – has got the point that the Eurosystem, as it is, doesn’t work, unless Keynesian policies and fiscal transfers are adopted. But this is taboo for Germany and the other North-European countries. In this light one should read the wisemen report and the plan written by Schaeuble himself, both just released.[1] In practice, both documents delineate proposals to strengthen the ordoliberal rules governing the system and to provide for the exit of those members that are not able to live with the rules. In this regard, Germany was (and still is) ready to let Greece go.

Against this background, it would be reasonable to assume that the TCC program might not be rejected by Germany and its satellite states, since it would eventually allow for the exit of Italy, Spain, and probably even France. While Germany would further on its integration with countries that can follow its rules (the Netherlands, Austria and some others), other countries would de facto part with the system. Yet the TCC program would ensure their debt repayment capacity, since their public debt would rapidly decline in proportion to their GDP thanks to the balanced euro budget rule and the safeguard clauses discussed above.

For a new mechanism of the Eurosystem: Conclusion

A sweeping reform of the Eurosystem would require an overhaul of its architectural design, its central institutions, and even the principles underpinning its policies. We do not nurture such an ambition, as we see neither the premises of it nor the countries and the leaders who can inspire it. On the other hand, we are aware that breaking up the system might have destabilizing and potentially dangerous and costly consequences.

We therefore propose a revision of the system, which, on the one hand, would allow crisis countries that want to remain in it to achieve rapid economic recovery, as well as fiscal and financial sustainability, while on the other it would prepare for a soft exit those countries that do not want to stay in the system or cannot live by its rules.


[1] Ses on Reuters, “German "wisemen" say euro zone states should be able to go bankrupt”, 28 July, 2015 (http://mobile.reuters.com/article/idUSB4N0ZN01L20150728) e on the Financial Times, “Schäuble outlines plan to limit European Commission powers”, 30 July 2015 (http://www.ft.com/intl/cms/s/0/88352cf2-3697-11e5-bdbb-35e55cbae175.html#axzz3hYe9OAHs).