domenica 13 marzo 2016

Il mito degli sprechi

Questo breve articolo di Gustavo Piga parte con una considerazione interessante, che condivido, e scivola però, successivamente, nei luoghi comuni.

L’affermazione condivisibile è che tutti i dibattiti tra governo italiano e commissione europea in merito alla flessibilità e alla concessione dei richiesti (dall’Italia) decimali in più di deficit pubblico / PIL sono in realtà nient’altro che uno stucchevole balletto. La UE non può assolutamente permettersi di forzare l’Italia – nell’attuale situazione di congiuntura mondiale incerta e, soprattutto, di crisi cronica dell’Eurozona – ad attuare una manovra restrittiva. Né tantomeno può accettarlo Renzi.

Al di là, quindi, di qualche discussione più formale che sostanziale, e di qualche intervento semicosmetico, non ci saranno manovre o correzioni di rotta rilevanti.

Di conseguenza si proseguirà galleggiando sulla tendenza attuale, che è di asfittica crescita del PIL. Forse lo zero virgola del 2015 diventerà (già ci vuole fortuna) un uno virgola, ma cambia poco o niente. Nessuna ripresa dell’occupazione, né tantomeno uscita dalla trappola della liquidità.

La soluzione passa tramite l’adozione di politiche fiscali espansive, tramite sostegno della domanda e incremento del potere d’acquisto in circolazione. Questo però i decimali di flessibilità chiesti da Renzi non lo ottengono: siamo, appunto, su livelli di semplice galleggiamento.

Quest'ultimo concetto Piga – economista con etichetta keynesiana - lo condivide, ma poi salta a conclusioni alquanto dubbie. Invoca “massicci tagli negli sprechi (quelli veri) per finanziare un altrettanto massiccio piano di investimenti pubblici”. Il che crea nel lettore diverse confusioni.

Intanto lascia intendere che i problemi dell’economia italiana potrebbero essere risolti con un intervento di riallocazione – spesa totale invariata, ma diversamente distribuita. Peggio ancora, alimenta il mito (uno dei luoghi comuni smentiti dal pensiero keynesiano) che gli “sprechi” siano sempre, di per sé, una negatività economica.

Ora, è controintuitivo, ma appunto per questo è importante ribadirlo: gli “sprechi” sono comunque un modo di mettere in circolazione potere d’acquisto. Se le risorse produttive sono già adeguatamente impiegate, questo è un grave errore (alimenta inflazione e non espansione economica). Ma in un contesto di domanda depressa, al contrario, la espande, e avvia una catena di effetti positivi su produzione e occupazione.

Quanto sopra ovviamente NON implica che la qualità e l’efficienza della spesa non abbiano importanza. Ce l’hanno: ma affermare che l’azione debba consistere in investimenti pubblici a fronte di tagli di spesa, significa dare per scontato che la riallocazione produrrà notevoli vantaggi.

E qui veniamo al luogo comune implicito in quanto sopra: che la spesa pubblica italiana sia disastrosamente inefficiente, e che quindi grandi benefici possano essere ottenuti dalla riallocazione verso gli investimenti.

E’ vero – banalmente vero, in effetti – che si può sempre spendere meglio. Ma se il settore pubblico italiano spende male, bisognerebbe intanto capire quale miracoloso meccanismo dovrebbe creare fantastici vantaggi tramite una riallocazione, visto che le strutture burocratiche che gestiscono la spesa in definitiva sempre quelle sono.

Inoltre, quanto è supportato dai fatti (non dalle chiacchiere da bar) il concetto che la spesa corrente italiana sia un disastro di inefficienza ? Su circa 800 miliardi di spesa pubblica, quasi 300 sono trasferimenti (principalmente pensioni e interessi sul debito pubblico), che non costituiscono una componente del PIL (altro fatto che si tende a dimenticare).

Gli altri 500 circa sono la quota di spesa pubblica che invece concorre direttamente alla formazione del PIL. Per prendere due esempi significativi, oltre 100 sono costi del sistema sanitario, e 50 del sistema della pubblica istruzione. Fa già più del 30% del totale.

Bene: il sistema sanitario italiano è considerato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità uno dei cinque migliori al mondo, sulla base di indicatori oggettivi di risultato (mortalità infantile, durata della vita, incidenza e trattamento delle malattie croniche ecc.) raffrontati alla spesa.

E in base ai test Invalsi, la qualità degli studenti italiani provenienti da scuole pubbliche è in linea con le medie OCSE (non meglio ma neanche peggio), a fronte peraltro di una minore incidenza della spesa rispetto al PIL.

Può darsi che l’altro 70% della spesa pubblica italiana sia una tale cloaca di inefficienza da mandare a fondo il sistema. Io però crederò a un’affermazione di questo tipo se e quando leggerò analisi complete e oggettive (non aneddoti) che lo provino e lo quantifichino.

E poi crederò che con la riallocazione di spesa si può ottenere qualcosa d’importante in tempi ragionevoli quando vedrò un piano d’intervento plausibile. Ricordando però che i miglioramenti di efficienza, soprattutto nelle organizzazioni complesse, nascono pressoché sempre da azioni ad effetto graduale.

Detto altrimenti: se sono l’azionista di una società e un candidato manager viene a dirmi che può ottenere miracoli di efficienza, e poi dati oggettivi, da fonti indipendenti e plausibili, mostrano che dove la vado a misurare la mia organizzazione (in termini per esempio di produttività, o di vendite per addetto) non è affatto peggio rispetto agli operatori comparabili… beh, quel candidato manager mi lascia molto, ma molto scettico.

2 commenti:

  1. "Investimenti pubblici a fronte di tagli di spesa": chiudere un ospedale per costruire un viadotto - sicuri che sia un vantaggio ? sempre e comunque ?? De minimis, dipende...

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  2. sono completamente d'accordo..complimenti per la chiarezza..

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