domenica 20 novembre 2016

”La storia non si ripete ma fa rima”: seconda guerra mondiale e declino dell’Unione Europea

La citazione del titolo è attribuita a Mark Twain, ma come spesso accade, l’attribuzione è dubbia (non la si ritrova nei suoi scritti). Ma apocrifa o no che sia, qualcosa di simile si sta verificando oggi.

Si è venuta a creare una sostanziale contrapposizione le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale – USA, Russia e Regno Unito – e la UE a “trazione tedesca”. Alleati contro Germania e fiancheggiatori, oggi come nel 1939 o nel 1941.

La presidenza Trump non avrà, nei confronti della UE, l’atteggiamento di costante fiancheggiamento e supporto che caratterizzava Obama, e che sicuramente sarebbe proseguito con Hillary Clinton. Il protezionista Trump non vede certo con favore un progetto politico incentrato su mobilità del lavoro, apertura all’immigrazione, accordi commerciali che spingono alla delocalizzazione. E ha ben chiare le spaventose disfunzioni della moneta unica.

Il Regno Unito ha votato a favore della Brexit. E la Russia di Putin ha, con la UE, diverse situazioni di tensione – tra cui la crisi ucraina e le conseguenti sanzioni economiche.

La Francia si potrebbe aggiungere al gruppo in caso di vittoria di Marine Le Pen alle presidenziali della prossima primavera. Un evento per il momento non probabilissimo, ma l’eventualità è stimata al 35%-40% dai bookmakers (più affidabili dei sondaggisti, tutto sommato…) contro non più del 5% ante elezioni USA.

L’Italia si sta facendo particolarmente male, oggi come nel 1940, sostenendo l’alleato sbagliato. Analogamente ad allora, più astuto è l’atteggiamento degli spagnoli – che in teoria avrebbero dovuto fiancheggiare l’Asse ma in guerra poi non ci sono entrati. E oggi sostengono l'austerità euroindotta a parole, ma l’hanno attuata molto meno di noi (e se la cavano, di conseguenza, parecchio meglio).

E’ riaffiorata, come avviene periodicamente da quasi 150 anni, la questione tedesca. Un paese troppo importante per essere “come gli altri” in Europa, ma non abbastanza per egemonizzare il resto del continente. Anche per la sua idiosincraticità, per l’incapacità di essere adattabile e flessibile, molto anche per la sua lingua troppo diversa dalle altre.

La UE doveva portare al superamento delle logiche di conflitto e di ricerca dell’egemonia, ma non è andata così. La Germania l’ha utilizzata come uno strumento di perseguimento dei suoi interessi nazionali – o per essere più esatti, delle sue elites industriali e finanziarie. Per la verità non ne ha neanche fatto mistero. Ma il punto è che il progetto non funziona.

La spinta tedesca verso l’egemonismo, tra l’altro, è destinata a fallire anche perché le possibilità della Germania di assurgere a superpotenza mondiale sono molto più remote oggi di allora. Anche e forse soprattutto per il fattore demografico. A molti non è chiaro, credo, che la popolazione tedesca, su un territorio un po’ più piccolo, è oggi all’incirca della stessa dimensione (80 milioni) del 1939. Gli USA nel frattempo sono passati da 130 a 330 ! e la popolazione mondiale da 2,5 miliardi scarsi a quasi 7,5.

Se siamo vicini alla fine dell’Eurocrisi, come spero e ritengo anche probabile, ci si potrà consolare - per quanto pesanti e insensati siano stati i suoi effetti - pensando che almeno non si è arrivati a sparare. Forse perché bene o male l’umanità un po’ più saggia lo è diventata. O forse solo perché la tecnologia ha reso troppo devastante l’ipotesi di un conflitto militare tra grandi potenze.

E se siamo vicini alla fine dell’Eurocrisi, la spinta politica la sta dando, paese per paese, principalmente l’affermazione di formazioni politiche di destra. L’eccezione più importante potrebbe essere l’Italia con il post-politico (e non inquadrabile della dicotomia destra-sinistra) M5S.

Capisco la delusione di chi si colloca a sinistra e avrebbe desiderato un percorso guidato da schieramenti socialdemocratico-keynesiani. Ma chi si doveva collocare in quell’area l’ha abbandonata, fiancheggiando il progetto austero-globalista. O se no, si è rilevato poco incisivo, o è andato in confusione o peggio (vedi Syriza) quando ha avuto possibilità di azione.

Speriamo di essere alla vigilia di una svolta. Ci sono stati trent’anni di keynesismo, di crescita sostenuta, di benessere gradualmente sempre più diffuso, di costruzione dello stato sociale tra il 1945 e il 1975. Ci possiamo rincamminare in quella direzione, come allora e anche meglio.


6 commenti:

  1. Condiviso immediatamente sulla mia pagina........ spero vivamente abbia ragione sull'essere vicini alla soluzione........ per parte mia credo lo stesso, ma penso anche che l'ultimo periodo (prima della svolta) sarà durissimo

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    1. Non credo sarà durissimo, anzi... sarà che sono ottimista di natura !

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  2. Chiedo a Marco Cattaneo se :
    1) In astratto,se oggi lo spread fosse a 100, sarebbe possibile da parte dei fondi sovrani russi acquistare i nostri titoli di Stato.
    2) è vero che i nostri titoli di Stato non possono essere acquistati dai fondi sovrani russi a causa del rating downgrade?
    3) è vero che essendo quotato in euro il nostro debito,una valuta molto pesante rispetto al Rublo, rende non appetibile o addirittura impossibile un'acquisto di titoli italiani da parte dei fondi sovrani russi?
    P.s. per cortesia non buttiamola in politica se è giusto o meno questa operaione, ma se è possibile in linea teorica.
    Lorenzo zanellato

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    1. (1) e (2) E' possibile anche oggi, siamo tuttora investment grade, anche dopo il downgrade (3) non c'entra, sicuramente una buona parte degli investimenti dei fondi sovrani russi sono già oggi in dollari o in euro.

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  3. L'articolo del Sole apparso ieri sembra smentirti:
    1)Nel caso dei bond stranieri ad esempio c’è un elenco preciso di Paesi che possono essere finanziati. C’è l’Austria; il Belgio; il Canada; la Danimarca; la Finlandia; la Francia; la Germania; il Lussemburgo; il Paesi Bassi; la Spagna; la Svezia; il Regno Unito e gli Stati Uniti.

    Non c’è l’Italia. Perché? Per scoprirlo basta leggere il primo dei requisiti che i titoli di Stato esteri devono rispettare per poter essere acquistati dal fondo e che prevede una soglia minima di rating fissata ad AA- nella classificazione di Standard & Poor’s e Fitch o Aa3 nella classificazione di Moody’s. Soglia entro la quale non rientrano i BTp, recentemente declassati a Baa3 da Moody’s, a cui le altre due agenzie assegnano un merito di credito a BBB.
    2)quante risorse verosimilmente potrebbe mobilitare? Considerando gli asset in gestione (77 miliardi di dollari) e il controvalore del debito pubblico italiano (2326 miliardi di euro) non molte. O per lo meno non in misura tale da influenzare l’andamento dello spread. Per dare un’idea delle proporzioni basti pensare che, se lo spread è salito molto quest’anno è anche perché gli investitori esteri, che hanno in mano il 30% del nostro debito, hanno ridotto la loro esposizione in BTp per ben 66 miliardi da maggio ad agosto. Una cifra che di fatto equivale all’intero bilancio del fondo sovrano russo.

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    1. Se è così, significa che i fondi sovrani russi hanno criteri più restrittivi dei normali investitori istituzionali. Ma comunque il punto chiave è che non è mai stato sensato pensare che potessero influenzare significativamente il mercato del debito pubblico italiano. Sono effettivamente troppo piccoli. L'idea che si sperasse in un loro sostegno non è di fonte governativa, l'hanno messa in giro i media pro-establishment per poi intorbidare le acque raccontando che si era fatto affidamento su un'ipotesi illusoria.

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