lunedì 11 settembre 2017

Titoli fiscali: il massimalismo è sterile


Sale l’interesse e l’intensità del dibattito sulle varie opzioni di titoli a valenza fiscale – CCF, Minibot, altre forme di Moneta Fiscale – da introdurre per superare le disfunzioni dell’Eurosistema e mettere fine alla crisi economica.

In parallelo, mi trovo spessissimo a dibattere con interlocutori la cui posizione si riassume come segue. Sì, va bene, abbiamo capito, sono strumenti utili, sulla carta magari anche risolutivi, ma non funzionerà così – saranno osteggiati, boicottati da UE e BCE, ci scateneranno contro la speculazione, i mercati, lo spread, la chiusura delle banche, Godzilla e King Kong – serve altro, serve il breakup secco immediato, e anche l’uscita da tutti i trattati, dalla UE, dalla NATO, dal sistema solare.

Cerco, quindi, di sintetizzare nel modo più chiaro possibile come vedo la situazione.

L’uscita “secca” dall’euro mediante breakup non è tecnicamente impossibile, ma è complessa e, soprattutto, le condizioni politiche non ci sono oggi né ci saranno neanche dopo le prossime elezioni (perché non ci sarà una maggioranza parlamentare pro-breakup). Dire “breakup o niente” quindi equivale a dire niente, oggi e per i prossimi svariati anni.

D’altra parte, introdurre uno strumento fiscale parallelo – che non viola trattati e regolamenti UE – è un’iniziativa che può essere fermata solo con azioni estremamente pericolose per la tenuta del sistema UE / euro stesso. Interrompere di colpo il QE ? revocare l’OMT (il whatever it takes di Draghi, per intenderci) ? sospendere i canali di rifinanziamento della BCE nei confronti di Bankitalia e quindi del sistema bancario italiano ?

Sono tutte azioni che, a parte configurare (quelle sì) rotture dei trattati, equivalgono a scatenare una pesante crisi finanziaria e bancaria. Mi sembra estremamente arduo che si formi, a Bruxelles e a Francoforte, il consenso necessario per attuare qualcosa di simile.

In altri termini, le difficoltà politiche che esistono per attuare il breakup secco e improvviso da parte dell’Italia non solo vengono meno, ma risultano, in larga misura, ribaltate su UE e BCE.

Ma, si dirà, queste pressioni la BCE le ha esercitate in passato. Ha condizionato misure di sostegno al debito pubblico italiano all’attuazione di un programma di austerità, nel 2011. Ha interrotto l’espansione di linee emergenziali di liquidità – l’ELA – alle banche greche a fine giugno 2015, nell’imminenza di un referendum sulle misure richieste dalla UE.

In tutti questi casi, però, la situazione di crisi (indubbiamente legata, anzi in buona sostanza prodotta, dall’assetto disfunzionale dell’Eurosistema) preesisteva: non è nata nel momento in cui la BCE ha attuato quelle azioni.

A scanso di qualsiasi equivoco: non le sto difendendo. Le azioni andavano in una direzione totalmente errata. Non hanno risolto la crisi, ma l’hanno esacerbata. L’analisi delle cause e le conseguenti “prescrizioni” erano, e sono, completamente sbagliate. Si è gestita una crisi di domanda – conseguente alla crisi finanziaria mondiale del 2008 – come se fosse causata da eccessi di debito pubblico, con il risultato di forzare l’introduzione di politiche procicliche che hanno depresso ulteriormente varie economie nazionali (e non hanno neanche invertito la tendenza alla crescita del rapporto debito pubblico / PIL).

Però la “crisi dello spread” del 2011 non è nata a causa di azioni specifiche della BCE. E’ stata gestita in modo totalmente inappropriato, ma non è stata innescata in quel momento.

E quando la BCE nel giugno 2015 ha sospeso l’estensione della liquidità di emergenza alle banche greche (provocandone la chiusura) si stava acutizzando una corsa agli sportelli iniziata parecchio tempo prima. E la Grecia aveva appena fatto default su una rata di rimborso al Fondo Monetario Internazionale.

In altri termini: non intervenire, o intervenire in modo inappropriato, quando una crisi è in corso e sta raggiungendo una fase di tensione particolarmente critica, è una cosa. Agire in modo violento – e in completa rottura dei trattati – per provocarne una, è un’altra faccenda. Molto, ma molto più grave.

A chi delinea scenari da tregenda, in definitiva, rispondo: non credo che le cose stiano come dite voi, e in ogni caso adottare il vostro punto di vista equivale a non fare nulla per n anni a venire.

Al contrario, l’opportunità di fare qualcosa di molto rilevante può esserci, e tra pochi mesi. Io, oggi, punto su quella.


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