domenica 19 novembre 2017

Non tutte le passività sono nate uguali...

Ho letto solo qualche giorno fa un articolo pubblicato in effetti ad aprile scorso, su “Scenari economici”, da Fabio Lugano. Vale la pena di prenderne spunto per chiarire una volta di più alcuni temi.

L’autore è scettico sul fatto che un progetto CCF / Moneta Fiscale possa costituire una soluzione stabile per l’Eurozona, in quanto l’incremento di potere d’acquisto da essi generato si tradurrebbe – in assenza di un riallineamento valutario – in squilibri nei saldi commerciali esteri.

Per qualche ragione che a me sinceramente riesce abbastanza misteriosa, questa obiezione continua a riaffiorare, nonostante le spiegazioni del caso siano state fornite non una ma svariate volte: a partire dal primissimo articolo pubblicato ormai cinque anni fa sul Sole 24Ore, dove per la prima volta ho presentato il concetto dei Certificati di Credito Fiscale. Articolo che addirittura era intitolato (un po’ impropriamente in realtà) “Certificati di credito per il cuneo”.

La proposta infatti è di emettere CCF non solo per rilanciare la domanda interna ma anche per abbassare il costo del lavoro effettivo, riducendo il cuneo fiscale a vantaggio delle aziende (oltre che dei dipendenti). Un mix appropriato di emissioni consente di espandere la domanda interna mantenendo invariati i saldi commerciali esteri.

A parte questo, forse ancora più significativo è un passaggio dove Fabio Lugano afferma che “la grande differenza tra Minibot e Moneta Fiscale è essenzialmente nel fatto che il Minibot non teme di chiamarsi “debito”, mentre la Moneta Fiscale e i CCF giocano su una differenza (??) tra “Passività” e “Debiti””. Secondo l’autore, una distinzione puramente formale.

Bene, la distinzione non è formale ma assolutamente di sostanza.

Sul piano strettamente tecnico-contabile, i CCF non sono in effetti neanche una passività soggetta a essere registrata a bilancio, come non lo sono i buoni sconti emessi da un supermercato. Ne avevo spiegato le ragioni qui.

Ma, si dirà, un CCF comporta comunque un impegno per lo Stato emittente: accettarlo a riduzione di tasse future. Dove c’è un impegno c’è una responsabilità – in inglese liability. E questa, al di là delle prassi contabili, e una forma di passività, giusto ? Non per niente nei bilanci anglosassoni l’attivo e il passivo sono denominati “assets” e “liabilities”, appunto.

Il punto che sfugge in questa argomentazione è che anche la moneta fiat, la moneta sovrana, è una liability. Uno Stato che emette la propria moneta si impegna ad accettarla. E in effetti la moneta emessa è contabilmente registrata al passivo dagli enti che la emettono – dalla Federal Reserve, dalla Bank of England, in generale da tutti gli istituti pubblici che emettono moneta nazionale.

La distinzione tra “passività” e “debito” non è affatto formale. E’ di enorme sostanza. Ci sono debiti sui quali rischio di essere forzato all’insolvenza, e ci sono passività rispetto alle quali l’insolvenza potrà sempre essere evitata, perché è lo Stato che le emette e che le gestisce.

I CCF da questo punto di vista equivalgono a una moneta nazionale fiat. L’impegno di accettazione potrà sempre essere onorato, qualunque sia il comportamento dei mercati finanziari. Non è concepibile un rischio di default connesso a una crisi dello spread come quella del 2011 per uno Stato che si finanzia emettendo CCF – così come non è concepibile per uno Stato che emette la propria moneta (e non è indebitato in moneta estera). E il motivo è che non c’è obbligo di rimborsare i CCF.

Questo non implica che si debbano emettere CCF in quantità infinita, così come non si deve emettere moneta nazionale fiat in quantità infinita. Oltre certi livelli – ovvero se distribuisco potere d’acquisto in misura superiore al potenziale produttivo dell’economia – non genero più produzione e occupazione, ma solo crescita dei prezzi (quindi inflazione a livelli indesiderati).

Ma il punto chiave è che la corretta gestione di un programma di rilancio dell’economia sia che avvenga mediante emissione di moneta nazionale fiat, sia che avvenga mediante emissione di CCF, impone di preoccuparsi dell’inflazione, ma non del rischio di default indotto da una crisi finanziaria (magari prodotta da fenomeni puramente speculativi).

Rilanciare l’economia senza mettere in mano ai mercati finanziari nuovi titoli di debito, espressi in una valuta emessa da terzi, fa una differenza enorme. Altro che “distinzione puramente formale”…


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