mercoledì 3 aprile 2013

Sblocco dei pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese: doveroso, ma risolve poco o nulla

Uno dei “provvedimenti urgenti per il rilancio dell’economia” che il prorogato-non-sfiduciato-commissariato-dai-dieci-saggi-o-forse-no governo Monti sta faticosamente varando è lo sblocco di una parte dei pagamenti scaduti ai fornitori della pubblica amministrazione.

L’importo in gioco, 40 miliardi di euro, è rilevante, e il dibattito in corso tocca vari temi, tra cui: stabilire quanto di questi fondi rimarrà alle imprese, e quanto “transiterà” finendo a rimborsare debiti bancari accesi in passato; e da dove lo Stato preleverà le risorse per evitare sforamenti nei parametri (deficit / PIL, debito pubblico / PIL) concordati con l’Unione Europea (evidentemente tramite maggiori entrate fiscali o tagli di altre spese).

Si arriva rapidamente a capire che il gioco è a somma zero, o quasi, e che l’economia italiana non si risolleva certo con questo. Per carità, un’azienda che attende pagamenti da un anno o più ha tutto il diritto di ricevere una boccata d’ossigeno.

Però se le risorse erogate da una parte vengono prelevate dall’altra, è evidente che la situazione generale dell’economia rimane più o meno dov’è, cioè in pieno dissesto. Certo, quando l’intervento sarà finalmente operativo, leggeremo qualche articolo confortante su aziende e imprenditori che hanno evitato il baratro grazie allo sblocco di un pagamento importante.

Non leggeremo, invece, notizie singole relative a migliaia o milioni di imprese e cittadini che avranno fatto un ulteriore micro passettino sulla strada dell’impoverimento o dell’insolvenza, a causa di provvedimenti restrittivi di finanza pubblica (per preservare i sacri parametri europei, si capisce). Ma statisticamente, per qualcuno sarà la goccia d’acqua che fa traboccare il vaso.

Un governo o un parlamento che discutessero seriamente di “provvedimenti urgenti per il rilancio dell’economia” dovrebbero avere in mente, prima dei 40 miliardi di euro di pagamenti da sbloccare (che sono un tema importante, si capisce) qualche altro dato, e fare qualche riflessione diversa.

Nel 2007 l’economia italiana si trovava in una situazione non dico smagliante (cresceva poco già dal 1999, l’anno guarda caso dell’introduzione dell’euro) ma quantomeno decorosa.

Se il tasso di sviluppo reale (escluso cioè l’effetto prezzi) da allora fosse stato in media dell’1,5%, il PIL italiano 2013 sarebbe vicino a 1.900 miliardi di euro. Teniamo conto che la crescita della popolazione e l’innovazione tecnologica comportano crescite annue della produzione potenziale generalmente stimate sopra il 2%, ma stiamo pure cauti.

Il PIL italiano 2013 sarà invece inferiore a 1.600 miliardi. Stiamo parlando di 300 miliardi in meno di reddito, che vogliono dire almeno tre milioni di persone disoccupate in più, aziende che falliscono, pesante disagio sociale, mancanza di prospettive per i giovani e per chi perde il lavoro, tensioni permanenti sui mercati finanziari.

Questo buco di PIL di 300 miliardi non nasce dal fatto che l’economia italiana non è in grado di produrre. Nasce dal fatto che usa la stessa moneta del suo principale partner commerciale (la Germania); che i suoi costi di produzione sono cresciuti più velocemente; che abbassarli di colpo non è possibile se non in parte, e per la parte per cui ci si riesce comprime i consumi interni e quindi la produzione; e che la caduta del PIL ha fatto sorgere dubbi sulla sostenibilità del debito italiano, che si è cercato di affrontare con politiche restrittive (soprattutto maggiori tasse) con il risultato di affossare ulteriormente domanda e produzione.

Un forte delta di competitività si recupera, in modo immediato e senza produrre il collasso del potere d’acquisto interno, solo intervenendo sull’architettura del sistema monetario. Uscire dall’euro e svalutare è una strada.

Il progetto Certificati di Credito Fiscale è un’altra: emissione di uno strumento di tipo monetario, autonomamente gestito dall’Italia; immediata riduzione del cuneo fiscale sul lavoro (e quindi riallineamento di competitività); forte supporto alla domanda e al potere d’acquisto interno.

Con tutto il rispetto per i creditori della pubblica amministrazione, se vogliamo discutere di “provvedimenti urgenti per il rilancio dell’economia” dobbiamo parlare di QUESTO. Se no risolviamo i problemi di alcuni (com’è giusto e va fatto), peggioriamo marginalmente (ma significativamente) i problemi di molti altri (come non è giusto e non va fatto) e nel complesso restiamo al punto di prima.

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