martedì 6 gennaio 2015

La riforma dell’Eurosistema mediante introduzione di Monete Fiscali nazionali


Obiettivi del progetto “Moneta Fiscale”

Il progetto “Moneta Fiscale” si propone di risolvere le disfunzionalità dell’attuale sistema monetario europeo, creando le condizioni per una forte ripresa dell’economia dell’Eurozona, e salvaguardandone nello stesso tempo la stabilità monetaria e finanziaria.

 

I Certificati di Credito Fiscale (CCF)

Nel caso dell’Italia, il progetto “Moneta Fiscale” prevede, in primo luogo, di emettere fino a un massimo di 200 miliardi annui di titoli di Stato – i Certificati di Credito Fiscale, o CCF – aventi natura monetaria e non di debito.

Per “natura monetaria” s’intende che lo Stato italiano non si impegnerà a rimborsare questi titoli, bensì ad accettarli, a partire da due anni dopo la loro emissione, a fronte del pagamento di tasse, imposte, contributi previdenziali e sanitari, multe eccetera: qualsiasi obbligazione finanziaria nei confronti della pubblica amministrazione italiana (enti locali inclusi) potrà essere estinta utilizzando indifferentemente CCF o euro.

L’accettazione dei CCF da parte della pubblica amministrazione li rende, di conseguenza, una forma di moneta nazionale: possono essere definiti moneta italiana ad utilizzo differito.

Il differimento di utilizzo (i due anni di cui sopra) è giustificato dal fatto che, nel momento in cui vengono impiegati, i CCF a parità di condizioni riducono gli euro incassati dallo Stato italiano. Il differimento dà all’economia italiana il tempo di ottenere un significativo recupero di PIL, e quindi anche di entrate fiscali, compensando così l’effetto dell’utilizzo dei CCF quando giungeranno a maturazione.

Il progetto prevede tre destinazioni principali per le assegnazioni di CCF: le aziende private, i lavoratori e un insieme di altre forme di spesa. Su 200 miliardi totali massimi assegnati ogni anno, all’incirca 80 andrebbero alle aziende private, 70 ai lavoratori e 50 ad altre forme di spesa.

Le aziende private riceveranno CCF in misura dipendente dai costi di lavoro da esse sostenuti. E’ previsto un meccanismo a scaglioni, che determinerà un’incidenza percentuale più elevata sui costi pagati a lavoratori con redditi più bassi. Per ogni 100 euro pagati in retribuzioni, imposte e contributi, l’azienda riceverà fino a un massimo di 20 euro in CCF. Per i redditi più alti, la percentuale scenderà considerevolmente. Potranno inoltre essere previsti meccanismi incentivanti per le aziende che incrementano l’occupazione.

Riguardo ai lavoratori (sia dipendenti che autonomi), il meccanismo proposto è analogo, sempre a scaglioni: il lavoratore percepirà, in aggiunta a una retribuzione netta di 100 euro, fino a un massimo 20 euro in CCF – con percentuale in discesa per i redditi alti.

Aziende e lavoratori riceveranno quindi gratuitamente un considerevole importo di CCF, in pratica di moneta utilizzabile (nei confronti della pubblica amministrazione) due anni dopo l’assegnazione originaria. Chi non avrà esigenze finanziarie immediate, potrà mantenerli in portafoglio come forma di risparmio. Altrimenti potranno essere monetizzati in anticipo.

La monetizzazione sarà possibile in quanto si svilupperà un attivo mercato finanziario. I CCF sono, a tutti gli effetti, una categoria di titoli di Stato. Ci saranno a regime massimi 400 miliardi di CCF in circolazione (due anni di emissioni, dopo i quali le nuove assegnazioni sostituiranno quelle in scadenza).

La monetizzazione anticipata comporterà uno sconto finanziario, in quanto 100 euro di CCF equivalgono a una banconota da 100 euro che il possessore non può utilizzare se non tra due anni. Ma il valore finale è certo, addirittura più di quello di un titolo destinato a essere rimborsato in euro. Lo Stato potrebbe, infatti, andare in default sui suoi impegni di pagamento di euro, mentre il CCF avrà sempre e comunque un valore. Lo sconto finanziario sarà determinato dal mercato, ma approssimativamente si può stimare che non sarà molto diverso da quello di un tasso CTZ a due anni.

Il compratore finale dei CCF scambiati sul mercato sarà un soggetto che avrà esigenze di pagamento nei confronti dello Stato italiano (per tasse o altro) e li utilizzerà quindi alla scadenza.

Gli ulteriori massimi 50 miliardi annui (le “altre forme di spesa” sopra citate) potranno essere utilizzati per varie operazioni di sostegno della domanda: integrazione di reddito alle categorie disagiate (inclusi cassaintegrati, pensionati a basso livello di reddito e disoccupati), investimenti pubblici, spesa sociale, interventi di ricostruzione in aree colpite da calamità naturali eccetera.

 

Obiettivi di rilancio dell’economia

Viene proposta un’emissione annua massima di 200 miliardi in quanto, a causa del calo di PIL prodotto nel 2008 dalla crisi finanziaria mondiale, e ulteriormente (soprattutto dal 2012 in poi) dall’eurocrisi, il PIL italiano è fortemente inferiore al suo potenziale. Se dal 2007 in poi si fosse avuta una crescita reale media dell’1% - tasso considerato modesto, in condizioni normali – il PIL 2014 sarebbe stato più alto di circa 300 miliardi. Questo è l’output gap da colmare. Una crescita media del 5% all’anno per tre anni è fattibile con la riforma proposta, e colma la maggior parte di questo deficit di PIL.

Le assegnazioni annue massime previste sono 200, non 300 miliardi, perché un’immissione di domanda nell’economia avvia una catena di eventi – il percettore di maggior reddito a sua volta in parte lo spende, aumentando il reddito di altre aziende e/o individui, eccetera. L’effetto è quindi più che proporzionale.

 

Impatto sui saldi commerciali esteri

La composizione esatta dell’intervento (200 miliardi annui massimi, nell’ipotesi sopra descritta, suddivisi, come detto, tra 80 alle aziende private, 70 ai lavoratori, e 50 in altri impieghi) sarà il frutto di decisioni politiche. E’ però fondamentale l’ordine di grandezza destinato alle aziende, in quanto occorre riallineare il costo del lavoro per unità di prodotto italiano a quello dei membri più efficienti dell’Eurozona, in particolare della Germania. L’importo di 80 miliardi corrisponde al 18% circa dei costi di lavoro delle aziende private italiane.

Una riduzione dei costi di lavoro lordi effettivi di questo ordine di grandezza riporta la competitività italiana a livelli tedeschi, in modo analogo (anche se con un altro meccanismo) a quanto farebbe la “spaccatura” dell’euro e il conseguente riallineamento valutario. Viene quindi meno una fonte di squilibri: se non venisse migliorata la competitività italiana, buona parte del sostegno della domanda prodotto dai CCF andrebbe ad alimentare la domanda di prodotti esteri, peggiorando la bilancia commerciale.

L’attribuzione di CCF alle aziende italiane in funzione dei costi di lavoro da esse sostenuti le rende, al contrario, immediatamente più competitive, con benefici in termini di maggiori esportazioni e di guadagno di  mercato interno nei confronti delle importazioni.

Va precisato che tutto ciò non comporterà danni significativi per la Germania e per gli altri stati membri dell’Eurozona. Contemporaneamente al recupero di competitività, l’Italia avvierà anche una forte ripresa economica, il che aumenterà (ceteris paribus) le sue importazioni, comprese quelle provenienti da partner europei. Oggi i saldi commerciali italiani sono positivi (partite correnti attive per l’1,5%-2% circa nel 2014), ma solo grazie a una domanda interna molto depressa, che limita le importazioni. Con la ripresa dell’economia, i due effetti si compenseranno – più import per la maggior domanda, maggior export netto per la maggior competitività. La bilancia commerciale italiana resterà in equilibrio, ma a livelli decisamente più alti sia di import che di export.

 

Effetti sull’inflazione

A questo riguardo, una prima considerazione è che l’assegnazione di CCF produce un forte recupero della domanda e del PIL, ma questo non è (se non limitatamente) inflazionistico perché in Italia esiste attualmente un altissimo livello di disoccupazione e di capacità produttiva inutilizzata. Solo se l’ammontare emesso superasse i livelli che consentono il riassorbimento della capacità oggi inattiva si produrrebbe un forte e permanente eccesso d’inflazione. Va anche ricordato che attribuendo CCF alle aziende in funzione dei loro costi di lavoro se ne riducono i costi produttivi totali, e questo ha un effetto mitigante sull’inflazione.

Un qualche incremento dell’inflazione, peraltro, è esattamente quello che serve per riportarla dall’attuale livello zero (con rischio di cadere in deflazione) verso l’obiettivo BCE del 2%. Il progetto può essere tarato, riguardo in particolare alla distribuzione temporale delle assegnazioni di CCF (vedi il punto successivo) in modo da puntare al raggiungimento dell’obiettivo BCE. Potrebbero essere tollerabili incrementi transitori dell’inflazione, fino al 3-4%, in una fase iniziale e per non più di un anno, dovuti a possibili sfasamenti temporali tra incremento della domanda e riattivazione della capacità produttiva oggi inutilizzata.

 

Tempistica delle assegnazioni di CCF

Le erogazioni di CCF sono previste, come detto, in 200 miliardi annui massimi. E’ ragionevole scaglionare l’intervento nel tempo, perché la maggior domanda dovuta ai CCF stimolerà le aziende a produrre di più, ma rimettere in moto la capacità produttiva oggi inutilizzata richiede tempo. L’ipotesi attuale è di erogare 90 miliardi il primo anno, salire a 150 il secondo e raggiungere 200 miliardi al terzo. I livelli effettivi e la distribuzione temporale saranno tarati in funzione della risposta dell’economia, puntando a un rapido recupero dell’occupazione senza che l’inflazione risalga troppo rapidamente.

Anche la quota destinata alle aziende (ipotizzata, come si diceva, in 80 miliardi su un massimo di 200) potrà anch’essa essere modificata nel tempo, sempre con l’obiettivo di mantenere in pareggio i saldi commerciali esteri: né surplus né deficit, se non per importi modesti.

 

I “BTP fiscali”

Il progetto “Moneta Fiscale” prevede anche l’introduzione dei cosiddetti “BTP fiscali”. Sono titoli di Stato con scadenze varie – anche pluriennali – che (analogamente ai CCF) non pagano interessi e capitale in euro. Interessi e capitali sono invece corrisposti, appunto, in “Moneta Fiscale”, utilizzabile per onorare impegni finanziari verso la pubblica amministrazione: esattamente come i CCF.

L’introduzione dei BTP fiscali potrà avvenire, in primo luogo, al momento in cui cominceranno le assegnazioni dei CCF. Potrà essere data la possibilità, a tutti i possessori di titoli di Stato “tradizionali” (BOT, CTZ, BTP, CCT eccetera) di convertirli in BTP fiscali, con scadenze più lunghe e con un tasso d’interesse più alto. Per esempio, un BTP con tre anni di vita residua e cedola del 2,5% potrebbe essere convertibile in un BTP fiscale con sei anni di vita residua e cedola del 4,5%. Questa opzione di conversione rimarrà esercitabile (da parte del possessore) per tutta la vita residua del titolo.

Si limita il rischio, in tal modo, che l’annuncio della riforma dia luogo a movimenti speculativi sui mercati finanziari. Se il mercato dovesse reagire negativamente, si potrebbe creare una pressione al ribasso nel valore nei titoli di Stato in circolazione (quelli tradizionali) creando problemi, per esempio, ai bilanci degli investitori istituzionali (banche, assicurazioni eccetera) che li possiedono. Ma se un titolo di Stato è sempre convertibile in BTP fiscali – quindi in un titolo che mantiene sempre, con certezza, un valore, perché è utilizzabile per pagare tasse e altre obbligazioni finanziarie verso la pubblica amministrazione, e non ha quindi rischio di default – la pressione al ribasso sopra citata incontra una soglia.

Inoltre, tanti più titoli “tradizionali” vengono convertiti in BTP fiscali, tanto più diminuisce l’ammontare di titoli che possono dar luogo a default. Le nuove emissioni di titoli di Stato, coerentemente con questo principio, dovranno avvenire, nella maggior misura possibile, mediante BTP fiscali - e non emettendo titoli “tradizionali” (da rimborsare in euro). Il debito in euro, quello che deve essere rimborsato e che quindi può dar luogo a default, deve essere ridotto il più rapidamente possibile, idealmente a zero.

E’ prevedibile che ci sia interesse, sul mercato, per le emissioni di BTP fiscali, anche a causa del fatto che verranno ridotte – se possibile addirittura azzerate – le emissioni di titoli “tradizionali”, e che i loro abituali compratori (specialmente gli investitori istituzionali italiani) dovranno reimpiegare la loro liquidità. Uno strumento d’investimento senza rischio di default è interessante per questi investitori, per motivi analoghi a quelli che rendono appetibile un titolo di stato in moneta sovrana.

 

Il progetto “Moneta Fiscale” alla luce dei trattati attualmente in essere

Nella forma attuale, i trattati – il patto di stabilità e il Fiscal Compact, in particolare - sono ineseguibili. D’altra parte sono stati concepiti su istanza dei paesi dell’ex area marco, che temono di doversi far carico dei debiti di uno o più paesi del sud. Il progetto “Moneta Fiscale” produce una forte ripresa economica dei paesi che lo adottano e nello stesso tempo riduce, con l’obiettivo realistico di azzerare, il debito che crea rischio di default.

La possibilità che il progetto “Moneta Fiscale” venga attaccato in quanto non conforme ai trattati non può essere esclusa. Tuttavia il progetto rende possibile il conseguimento degli obiettivi economici che i trattati si prefiggono, in quanto consente sviluppo economico, occupazione, stabilità monetaria e riduce rapidamente, fino a eliminarli, i rischi di default sui debiti pubblici e i conseguenti dissesti finanziari. Gli obiettivi dei trattati sono conseguiti dal progetto “Moneta Fiscale”, mentre non lo sono da una serie di altre azioni – l’OMT e le iniziative di sostegno intraprese dalla BCE, in particolare – che peraltro, a loro volta, sono attualmente oggetto di azioni legali (sull’OMT, anzi, esiste già una sentenza negativa della Corte Costituzionale tedesca, che ha rinviato il caso alla Corte di Giustizia UE). Si può affermare che il progetto “Moneta Fiscale” è, rispetto a queste iniziative, almeno altrettanto conforme ai trattati, nonché enormemente più efficace per quanto attiene al raggiungimento degli obiettivi che i trattati stessi si prefiggono.

Riguardo al Fiscal Compact, in particolare, è importante sottolineare che questo trattato impone un percorso accelerato di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL. Per l’Italia (e per vari altri paesi) si tratta di obiettivi totalmente irrealistici. Tentare di conseguirli richiederebbe manovre fiscali pesantissime che abbatterebbero il denominatore del rapporto, impedendone la riduzione.

Nell’ambito del progetto “Moneta Fiscale”, il Fiscal Compact diventa invece eseguibile, purché si chiarisca in maniera inequivocabile che i CCF e i BTP fiscali non sono compresi nel debito, in quanto non creano rischio di default. In questo modo gli obiettivi di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL sono raggiungibili. A questo punto gli interessi collimano: il debito pubblico italiano espresso in euro, che la Germania teme di doversi sobbarcare a seguito di un default italiano, scende rapidamente e viene sostituito da emissioni di moneta nazionale italiana (non soggetta a default). E’ una situazione enormemente più tranquilla sia per la Germania che per l’Italia.

 

Estensione ad altri paesi

Tutti i paesi dell’Eurozona che hanno oggi difficoltà, o comunque livelli di competitività inferiori a quelli tedeschi, nonché alta disoccupazione, possono adottare il progetto “Moneta Fiscale” (ed è anzi raccomandabile che lo facciano). Ciò nella misura, caso per caso, opportuna per ripristinare competitività e piena occupazione.

E’ la via per rendere sostenibile il sistema monetario europeo, senza attuare una “transfer union” e senza richiedere agli stati “nord-eurozonici” di compensare le differenze di competitività, in particolare di costo di lavoro per unità di prodotto, inflazionando significativamente prezzi e salari: entrambe, queste, eventualità che la Germania non accetta. Inoltre, elimina definitivamente il rischio di una deflagrazione dell’Eurozona. Tutto questo senza richiedere alcun contributo finanziario alla Germania, e senza convertire depositi bancari, titoli di Stato e altre attività finanziarie, stipendi, pensioni, e contratti di qualsiasi tipo da euro in una nuova moneta (destinata a svalutarsi).

 

Attuabilità operativa del progetto

Dal punto di vista operativo, il progetto “Moneta Fiscale” è nettamente più semplice della “spaccatura” dell’euro. E’ una riforma che può essere tranquillamente discussa e analizzata alla luce del sole e non una “deflagrazione” da attuare di sorpresa, in tempi rapidissimi, con rischi di panico bancario e sui mercati finanziari. Non costringe la Germania a lavorare, d’improvviso, con una moneta rivalutata. Non c’è svalutazione dei crediti stranieri verso soggetti residenti italiani. Non ci sono effetti redistributivi su aziende e banche, né contenziosi giuridici. Il cittadino italiano non si vede convertire i suoi risparmi, il suo stipendio, la sua pensione, in una moneta diversa (di minor valore).

 

I CCF diventeranno, dopo un certo periodo di tempo, una vera e propria moneta circolante ?
Il progetto funziona anche a prescindere che i CCF vengano utilizzati per transazioni correnti. Tuttavia è probabile che l’utilizzo quotidiano prenda piede e si incrementi, ad esempio usandoli per pagamenti elettronici via carta di credito, e come sottostante nella definizione di contratti di lavoro, affitto, compravendita, eccetera. Dopo qualche anno, è concepibile che il CCF diventi a tutti gli effetti la moneta circolante principale, riservando all’euro impieghi limitati (ad esempio per particolari transazioni finanziarie). E’ un’evoluzione possibile, anche se non indispensabile per il successo della riforma.

5 commenti:

  1. il fiscal compact è ineseguibile se draghi non comprerà debiti degli stati ma se lo farà è eseguibile anche se non risolve il problema della solvibilità. anche se l'Omt è un piccolissimo buon inizio in tale direzione. grazie a draghi.

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    1. E' eseguibile solo se l'acquisto di debito finanzia deficit aggiuntivo, e se questo deficit (che in questo caso sarebbe, di fatto, finanziato con emissione di moneta) non concorre alle determinazioni ai fini dei fiscal compact. Ma non si sta parlando di nulla di tutto ciò, al momento. Solo di acquistare debito già sul mercato, senza consentire agli stati nessuna azione espansiva della domanda reale.

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    2. ma draghi sta già finanziando deficit aggiuntivo, se non fosse così l'italia avrebbe già fatto default sui titoli e con essa le banche. è ovvio che questo "floor" di draghi dà tempo ma non risolve il problema.

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    3. Perché il 3% (che pretendono pure di portare a zero!!) non basta. Ci vuole il 6-7% per 3-4 anni. USA e UK sono arrivati al 10-12%...

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    4. ma usa e uk hanno un tesoro unico, l'europa no, senza quello non si stampa. alcuni paesi infatti sono falliti e la germania non vuole compensare il surplus. negli anni precedenti la crescita (piccola o grande) copriva questi ingranaggi mancanti. oggi no. ma gli ingranaggi mancanti sono colpa dell'europa non dell'america.

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