mercoledì 13 gennaio 2016

Titoli fiscali per risolvere il problema euro



I problemi del sistema bancario, il decreto “Salvabanche”, i rischi di bail-in introdotti dalla normativa UE in vigore dal 2016 aumentano le inquietudini in merito all’economia italiana, depressa e stagnante ormai da oltre sette anni.

Il PIL è cresciuto dello 0,8% circa nel 2015. Il Ministero dell’Economia prevede (aggiornamento Documento di Economia e Finanza, settembre scorso) un’accelerazione all’1,3%-1,5% nel periodo 2016-2019.

Zero virgola o uno virgola non è ripresa. Ripresa è se l’Italia crea lavoro e recupera il milione di posti persi tra 2008 e 2014. A questi ritmi, al massimo l’occupazione non peggiora.

Renzi ne è consapevole: spesso ripete che le regole dell’Eurosistema – soprattutto i limiti al rapporto deficit pubblico / PIL – insistono troppo sul consolidamento fiscale a scapito dello sviluppo. Regolarmente però aggiunge “sono sbagliate ma le rispetteremo”.

Ma senza una vera ripresa produttiva e occupazionale, il consolidamento fiscale è controproducente e peraltro destinato a fallire.

Una situazione irrisolvibile ? non sulla base della proposta elaborata da un gruppo di ricercatori, tra cui Biagio Bossone, Massimo Costa, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini, Giovanni Zibordi, il compianto Luciano Gallino e l’autore del presente articolo. Il responsabile ufficio studi di Mediobanca Securities, Antonio Guglielmi, l’ha analizzata in un recente rapporto.

Si tratta di introdurre un nuovo strumento finanziario, i Certificati di Credito Fiscale (CCF): titoli da assegnare gratuitamente a una pluralità di soggetti – lavoratori, aziende, pensionati, disoccupati, fornitori del settore pubblico.

Un CCF permette di ridurre pagamenti futuri dovuti alla pubblica amministrazione, per qualsiasi causale (tasse, imposte, contributi, tariffe, ticket sanitari). In pratica sono diritti a sconti fiscali futuri.

Il titolare può monetizzarli in anticipo: un CCF emesso oggi, e utilizzabile come sconto fiscale a partire (ad esempio) dal 2018, ha valore fin da subito. E’ infatti negoziabile e trasferibile, e avrà un prezzo di mercato pari al valore facciale (lo sconto fiscale usufruibile alla scadenza) al netto di un fattore di attualizzazione finanziaria (prevedibilmente modesto) che incorpora l’effetto del differimento.

Molto probabilmente, si diffonderà anche l’utilizzo diretto dei CCF come corrispettivo di operazioni di compravendita.

Mediobanca ha esaminato gli effetti di un’emissione di 20 miliardi di CCF nel 2016, incrementati a 40 dal 2017 in poi. Benché più contenuto rispetto ad altre ipotesi elaborate dal nostro gruppo di ricerca, il conseguente accrescimento di potere d’acquisto in circolazione e domanda aggregata porta lo sviluppo del PIL al 3% annuo circa.

La crescita inoltre aumenta il gettito, compensando gli sconti fiscali ottenuti, a scadenza, dai titolari dei CCF. Il maggior denominatore riduce il rapporto debito pubblico / PIL, e la differenza tra spese e incassi pubblici annui (in euro) cala a zero.

Le assegnazioni di CCF andranno, inoltre, in parte alle aziende, in funzione dei costi di lavoro sostenuti. Questo riduce il costo del lavoro effettivo, migliora la competitività ed evita che la ripresa squilibri i saldi commerciali esteri: la maggiore competitività consentirà alle aziende di esportare di più e di guadagnare quote di mercato interno nei confronti della concorrenza estera, compensando le maggiori importazioni dovute alla ripresa.

Inoltre, i CCF consentono un sistema di “clausole di salvaguardia non-procicliche”. Se in un dato anno la congiuntura mette a rischio l’equilibrio entrate-uscite in euro, il governo può sostenere in CCF (e non in euro) alcune spese, o introdurre imposte a fronte delle quali il contribuente riceve una compensazione in CCF.

Se Monti avesse utilizzato questi strumenti, il consolidamento fiscale non avrebbe causato la pesante caduta di PIL (5%) e occupazione (500.000 posti persi) prodottasi nel 2012-2013.

Si raggiungono così anche le finalità del Fiscal Compact. L’Eurosistema prevede che la BCE garantisca i debiti pubblici purché ogni paese s’impegni al pareggio di bilancio e a ridurre il rapporto debito / PIL. In pratica la BCE garantisce gli attuali livelli di debito, purché non si incrementino.

Ma i CCF non sono debito da rimborsare. Lo stato emittente si impegna solo ad accettarli a riduzione di pagamenti futuri. Nessuna garanzia è richiesta alla BCE: il valore dei CCF è assicurato dall’impegno di accettazione dello Stato.

Tutto ciò risolve le attuali disfunzionalità dell’Eurosistema senza rompere la moneta unica, e senza che l’Italia debba chiedere maggiori garanzie o sostegni finanziari a nessuno.

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