mercoledì 13 luglio 2016

Moneta fiscale e CCF per risolvere l’Eurocrisi



Senza un’azione espansiva sulla domanda, la crisi non si risolverà ancora per molti anni

Il PIL reale italiano è attualmente inferiore del 9% circa ai livelli del 2007.

L’Eurosistema ha imposto, nel 2011-2012, pesanti manovre procicliche che hanno affondato domanda, PIL e occupazione, con gravi ripercussioni su un tessuto economico che aveva solo parzialmente recuperato gli effetti della “Crisi Lehman”.

La ripresa dell’economia è impossibile in assenza di una forte azione espansiva sulla domanda.

In sua assenza, nella migliore delle ipotesi si continuerà con ritmi di “ripresa” dello zero virgola o dell’uno virgola, senza alcun effettivo recupero di occupazione.

Gli investimenti rimarranno bassissimi, il tessuto produttivo continuerà a deteriorarsi, non si otterrà alcun significativo recupero di produttività e di competitività.

Questo scenario sconfortante, in assenza di interventi, può proseguire inalterato per decenni.



Titoli di natura fiscale per promuovere la ripresa

I titoli di natura fiscale, o “moneta fiscale”, sono strumenti finanziari che danno diritto al possessore di ridurre pagamenti altrimenti dovuti alla pubblica amministrazione, per tasse, imposte, contributi sociali o pensionistici, ecc.

Lo Stato italiano può emettere “moneta fiscale” per effettuare azioni di espansione e supporto della propria economia:

integrazione di redditi da lavoro
miglioramento del cuneo fiscale a vantaggio delle aziende
interventi di spesa sociale
finanziamento o co-finanziamento di investimenti pubblici
supporto al settore bancario, eccetera.



Titoli di natura fiscale: possibili caratteristiche

La “moneta fiscale” può essere emessa in varie forme e strutture tecniche. Ad esempio:

Certificati di Credito Fiscale (CCF): titoli che vengono emessi e assegnati gratuitamente a lavoratori, famiglie, aziende, ecc., e che danno diritto a beneficiare di sconti fiscali a partire da una data futura prestabilita. Per esempio, a gennaio 2017 si cominciano a emettere CCF che saranno utilizzabili a partire da gennaio 2019 (due anni dopo).

I CCF peraltro, rappresentando un diritto certo a un beneficio fiscale futuro, hanno valore fin dal momento dell’assegnazione. Il valore sarà presumibilmente pari al valore dello sconto fiscale a termine, al netto di un modesto tasso di attualizzazione. Il possessore potrà vendere CCF sul mercato contro euro. E’ inoltre plausibile che i CCF verranno accettati come corrispettivo per operazioni di compravendita di beni e servizi.

Obbligazioni CDP a valenza fiscale: un’agenzia pubblica, per esempio la Cassa Depositi e Prestiti, emette titoli obbligazionari che, a partire da una data futura prestabilita, possono essere usati dal possessore per ottenere sconti fiscali. Se quest’ultima opzione viene esercitata, lo Stato diventa creditore dell’emittente (CDP) in luogo del possessore originario del titolo.

Le obbligazioni CDP possono essere collocate sul mercato per raccogliere euro, o anche utilizzate direttamente per finanziare investimenti pubblici, supportare il rafforzamento del sistema bancario (es. via Fondo Atlante: vedi nel seguito) ecc.



Titoli di natura fiscale: non sono debito ai sensi delle normative UE

La “moneta fiscale” non è debito. Lo Stato non si impegna a rimborsare in euro la “moneta fiscale” emessa, ma solo ad accettarla a riduzione di impegni finanziari futuri nei suoi confronti.

Il regolamento Eurostat 2010 e le successive integrazioni configurano senza ambiguità la “moneta fiscale” come un credito tributario “non pagabile” (in quanto non soggetto a essere rimborsato in cash).

Questo strumento, ancorché se ne debbano valutare gli effetti nei documenti di programmazione in termini di eventuali “minori entrate”, non può in alcun modo essere qualificato come “spesa” né come “debito” nella contabilità pubblica e nei documenti consuntivi di finanza pubblica. All’atto dell’emissione, di per sé, non si crea alcun peggioramento degli equilibri di bilancio imposti dai Trattati e dalla normativa europea.

Peraltro, il regolamento Eurostat prevede che l’effetto di “minori entrate” ai fini della programmazione finanziaria è esso stesso “eventuale”: conta l’effetto netto dato dall’utilizzo previsto dello strumento da parte dei titolari - al netto appunto del maggior introito tributario dovuto all’effetto espansivo sull’economia indotto dall’introduzione dello strumento medesimo.

L’effetto netto addirittura potrebbe essere di “maggiori entrate” qualora il secondo elemento della differenza dovesse superare il primo.



Titoli di natura fiscale: clausole di salvaguardia per garantire che non si avrà mai incremento di debito

Le emissioni di CCF potranno essere suddivise in modo da far leva su vari fattori di espansione della domanda interna e di miglioramento di competitività del sistema produttivo italiano.

Su una dimensione totale a regime, per esempio, di 120 miliardi annui (vedi seguito) si può ipotizzare una ripartizione del tipo seguente:

IR = Integrazione di redditi da lavoro, 40 miliardi annui.
CF = Assegnazioni alle aziende a riduzione del cuneo fiscale, 40 miliardi annui.
SS = Interventi di spesa sociale, 20 miliardi annui.
IO = Investimenti e opere di pubblica utilità, 20 miliardi annui.

La parte destinata alle aziende, a titolo di riduzione del cuneo fiscale (CF), si traduce in una riduzione dei costi di lavoro dipendente pari al 9% circa, tenuto conto che tali costi equivalgono oggi all’incirca a 450 miliardi annui.

Questa riduzione corrisponde a un beneficio della stessa percentuale per il CLUP medio delle aziende italiane, e quindi a un incremento di competitività. Si ottiene il risultato di incentivare le esportazioni e anche di far recuperare quote di mercato interno ai produttori domestici.

Le assegnazioni di CCF, in ogni singolo anno, daranno luogo, ceteris paribus, a riduzioni di gettito fiscale a due anni di distanza. Ipotesi cautelative sull’espansione di PIL reale e nominale conseguenti alla maggiore circolazione di potere d’acquisto e al recupero di competitività delle aziende, consentiti dal progetto CCF (vedi seguito) portano a stimare che la crescita di gettito prodotta dalla ripresa sarà superiore al calo dovuto all’utilizzo dei CCF.

E’ comunque possibile introdurre un sistema di clausole di salvaguardia che preveda azioni compensative da attuare solo se, e nella misura in cui, l’effetto espansivo dei CCF su PIL e gettito sarà inferiore alle attese.

A titolo di esempio, le clausole di salvaguardia potrebbero agire su:

IVA = aliquote IVA, fino a un massimo di 56 miliardi annui.
IMU = imposte sugli immobili, fino a un massimo di 32 miliardi annui.
RS = revisioni di spesa, fino a un massimo di 32 miliardi annui.

E la ripartizione temporale degli interventi potrebbe essere la seguente

TI = totale interventi espansivi mediante assegnazioni di CCF
TU = totale utilizzi CCF effettuati dagli assegnatari
CDS = massima attivazione possibile delle clausole di salvaguardia


                    2017  2018  2019  2020  2021  2022 e successivi

IR                10      20      30      40      40      40
CF               10      20      30      40      40      40
SS               5        10      15      20      20      20
IO                5        10      15      20      20      20

TI                30      60      90      120    120    120
TU                                  30      60      90      120

IVA                                14      28      42      56
IMU                                8        16      24      32
RS                                   8        16      24      32

CDS                                30      60      90      120

L’eguaglianza TU = CDS in ogni singolo anno garantisce la totale compatibilità del progetto CCF con i vincoli di bilancio previsti da normative, trattati e regolamentazioni UE.



Ancora sulle clausole di salvaguardia

A livello normativo, il provvedimento di legge che definirà, anno dopo anno, le assegnazioni di CCF, potrà come visto contemplare anche una serie di interventi (in termini di minori spese o di maggiori entrate fiscali), operativi nel medesimo anno in cui i CCF diventano utilizzabili per conseguire sconti fiscali.

Questi interventi verranno attuati solo nel caso (e nella misura) in cui l’effetto espansivo sul PIL non produca, nei due anni intercorrenti tra le assegnazioni e gli utilizzi dei CCF, maggior gettito fiscale in misura pari agli utilizzi medesimi (e fatte comunque salve le possibili azioni descritte sub UNO, DUE e TRE nel seguito).

I CCF assegnati assumono la veste di un titolo liberamente negoziabile e trasferibile, e costituiscono un accrescimento immediato di potere d’acquisto e disponibilità patrimoniali per chi li riceve (e anche, come visto, un miglioramento di competitività per le aziende a cui sono assegnati a riduzione del cuneo fiscale).

Si noti che questo impianto normativo smina qualsiasi obiezione in merito alla possibilità che l’assegnazione di CCF produca maggiore indebitamento. A partire dal 2017 viene attuata, contemporaneamente, un’azione di riduzione della fiscalità (l’assegnazione dei CCF) e un’azione di uguale importo e di segno opposto sui conti pubblici (le clausole di salvaguardia). Entrambe le azioni hanno la stessa decorrenza temporale (il 2019) riguardo al loro effetto diretto sulle finanze dello Stato. E’ quindi totalmente garantita la copertura del progetto CCF.

Inoltre, nell’eventualità in cui l’espansione di PIL risulti, contrariamente alle previsioni, insufficiente a compensare (due anni dopo le assegnazioni) l’utilizzo dei CCF, saranno possibili una serie di azioni alternative (utilizzabili anche in combinazione) per evitare che le clausole di salvaguardia producano effetti recessivi:

UNO, estensione su base volontaria delle scadenze di utilizzo dei CCF, offrendo al possessore un incremento del valore facciale dello sconto d’imposta se utilizzato dopo la scadenza originaria (in pratica, un tasso d’interesse).
DUE, collocamento di CCF di lunga scadenza per rimborsare debito in euro.
TRE, in casi estremi (molto improbabili): mantenere in essere i tagli di spesa o gli incrementi di imposte originariamente pianificati, compensandoli però con erogazioni addizionali di CCF.



Emissioni di CCF e loro impatti economici

In termini reali, il PIL italiano 2015 è stato inferiore di circa 150 miliardi di euro rispetto ai livelli raggiunti subito prima dell’inizio della crisi (2007).

Il progetto CCF può essere attuato in dimensioni adeguate a far recuperare questo “vuoto” di PIL.

Si può partire per esempio nel 2017 con 30 miliardi di assegnazioni annue, e incrementarle gradualmente fino a 120 nel giro di quattro anni.

Con un moltiplicatore fiscale (*) di 1,25, un’azione espansiva della domanda di 120 miliardi genera, appunto, maggior PIL per 150 (= 120 x 1,25). Rispetto all’attuale livello di 1.700 miliardi circa, questo equivale a un recupero del 9% circa, quindi 2% abbondante all’anno.

(*) Il moltiplicatore fiscale misura l’incremento del PIL reale prodotto da un'azione di politica economica espansiva (maggiore spesa pubblica, minori tasse o azioni di qualunque natura che incrementino il potere d’acquisto in circolazione). Nei dati riportati in questa nota, si suppone che l’incremento annuo delle assegnazioni di CCF produca un’espansione del PIL reale pari a 1,25 l’importo dell’incremento stesso, ipotesi basata sulle stime prevalenti riferite a economie che recuperano da un contesto di domanda depressa. Si veda tra gli altri “Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers, Olivier Blanchard / Daniel Leigh, IMF Working Paper, 2013: https://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2013/wp1301.pdf. L’intervallo ivi stimato è 0,90 – 1,70. Si è qui utilizzato il valore medio (1,30) ridotto a 1,25 per tenere conto di un effetto di attualizzazione del valore dei CCF assegnati, dovuto al differimento di due anni della loro utilizzabilità.

Poiché i CCF sono utilizzabili come sgravi fiscali due anni dopo la loro emissione, come già visto gli utilizzi resteranno inferiori alle assegnazioni in tutti gli anni precedenti il 2022:

Anno                     2017  2018  2019  2020  2021  2022 e oltre
Assegnazioni         30      60      90      120    120    120
Utilizzi                  0        0        30      60      90      120

Nell’anno in cui la situazione va a regime (2022) oltre al beneficio di 150 miliardi (sul PIL reale) sopra citato, è ragionevole mettere in conto che si sia prodotta maggiore inflazione, grazie al generale contesto di ripresa economica e di riassorbimento dell’output gap.

Ipotizzando un 1% in più di maggiore inflazione, in sei anni si ottiene un ulteriore incremento di PIL nominale pari a oltre 100 miliardi (1.700 x 6% = 102).

Complessivamente, il PIL nominale a regime è quindi circa 250 miliardi più elevato per effetto del progetto CCF. Poiché l’incidenza delle entrate pubbliche complessive è oggi poco inferiore al 50%, 250 miliardi di PIL nominale in più producono, appunto, all’incirca 120 miliardi di maggior gettito, compensando l’utilizzo dei CCF che annualmente arrivano a scadenza (dal 2022 in poi).

Negli anni precedenti al 2022, grazie allo sfasamento temporale tra assegnazioni e utilizzi si creano addirittura eccedenze (maggior gettito lordo superiore agli utilizzi di CCF), utilizzabili per accelerare il processo di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL. In sintesi:

ANNO

2017
2018
2019
2020
2021
2022
Maggior PIL reale
38
75
113
150
150
150
Maggiore inflazione cumulata
1,0%
2,0%
3,0%
4,0%
5,0%
6,0%
Effetto delta inflazione su PIL
17
34
51
68
85
102
Maggior PIL nominale
55
109
164
218
235
252
Pressione fiscale lorda
47,5%
47,5%
47,5%
47,5%
47,5%
47,5%
Maggior gettito lordo
26
52
78
104
112
120
Utilizzo CCF



-30
-60
-90
-120
Maggior gettito netto
26
52
48
44
22
0



Possibili azioni di rafforzamento del settore bancario

La “moneta fiscale” può costituire uno strumento d’intervento per superare gli attuali problemi di sottocapitalizzazione di alcuni istituti di credito italiani, anche alla luce dell’elevato livello di crediti deteriorati che si sono formati, in buona parte, per le condizioni depresse che l’economia italiana attraversa ormai dal 2008.

Una modalità possibile è quella precedentemente descritta delle “obbligazioni CDP”: la Cassa Depositi e Prestiti emette titoli obbligazionari che, a partire da una data futura prestabilita, possono essere usati dal possessore per ottenere sconti fiscali. In caso di esercizio di quest’ultima opzione, lo Stato diventa creditore dell’emittente (CDP) sostituendosi al possessore originario del titolo.

Le obbligazioni CDP possono essere collocate sul mercato per raccogliere euro e supportare il rafforzamento del sistema bancario, per esempio utilizzando la raccolta per incrementare le disponibilità del Fondo Atlante.

Alternativamente, se un’operazione di collocamento risultasse problematica da effettuare nei tempi ristretti imposto dalla situazione, lo Stato potrebbe emettere “moneta fiscale” e conferirla a CDP in cambio di un credito nei suoi confronti.

CDP a sua volta conferirebbe la “moneta fiscale” al Fondo Atlante, che potrebbe utilizzarla per interventi di varia natura (ricapitalizzazioni, acquisti di non-performing loans, ecc.).


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